Sub-Regional Conference on Female Genital Mutilation, "Towards a political and religious consensus against FGM" - Media Coverage

Ansa - Djibouti, 2-3 February 2005

 
Ansa
 
02 febbraio 2005

  • AFRICA: LOTTA A MUTILAZIONE FEMMINILE RIPARTE DA GIBUTI. UNA CONFERENZA PER ABBATTERE FALSI ALIBI RELIGIOSI
    Nuova importante tappa nella lotta contro la mutilazione genitale femminile (Fgm, stando all'acronimo inglese universalmente utilizzato), una barbarie, radicata soprattutto in Africa, con cui si calcola che convivano attualmente circa 130 milioni di donne nel mondo, e che ancora si abbatte annualmente su due o tre milioni di fanciulle. Si e' aperta oggi a Gibuti una conferenza regionale il cui significativo titolo e', appunto, ''Per un consenso politico e religioso contro la mutilazione genitale femminile''. Ha aperto i lavori -dopo l'introduzione delle first lady gibutina Kadra Mahammud Haid- l'eurodeputata radicale Emma Bonino, da anni alla testa, col movimento 'Non c'e' pace senza giustizia', di cui e' una delle fondatrici, della lotta contro tale barbarie. Ma non per slogan: operando sul territorio, tra societa' civile, mondo politico e religioso per coinvolgere tutti nella battaglia contro questo tabu', ancora drammaticamente radicato, ma di cui -infine- si iniziano ad avvertire i primi cedimenti. Perche' comincia ormai a sgretolarsi -e proprio grazie alla collaborazione del clero- l'alibi religioso con cui si pretendeva di giustificare questa spaventosa violenza contro le donne. ''Certo -ha detto tra l'altro la Bonino- la guerra contro la mutilazione genitale femminile non finira' con questa Conferenza: al contrario, comincia forse proprio di qui. Perche' ora disponiamo di armi efficaci. A quanti vorranno, infatti, ancora collegare tale barbarie con la religione, possiamo infine provare qui che il consesso religioso respinge ormai in massa tali pratiche, ed a quelli che tenteranno di rilanciare il concetto di rispetto della tradizione risponderemo con l'arma dell'illegalita' di tali posizioni poiche' ci sono trattati internazionali sottoscritti''. Ai lavori partecipano -questa la svolta principale- le massime autorita' religiose islamiche della regione oltre che un gran numero di iman di Gibuti, rappresentanti governativi (tra i quali il ministro per le Donne del nuovo governo somalo, signora Fowzia Mohamed Cheik), parlamentari ed esponenti della societa' civile di 11 paesi. Si tratta di Gibuti (dove la percentuale delle donne sottoposte a Fgm e' del 98 per cento, questo come i dati successivi sono ricavati da uno studio dello scorso anno), Somalia (98), Etiopia (80), Kenya (tra il 43 e l'89, a seconda se si tratti di aree urbane o rurali), Eritrea (44), Egitto (83 l'ultimo dato ufficiale, ma sembra essersi ridotto drasticamente grazie a grandi campagne informative appoggiate dal clero), Senegal (20), Somaliland (98), Sudan (89), Mali (94), e Yemen (22,6). Obiettivo della conferenza e' giungere ad una posizione di rifiuto comune delle Fgm in una regione dove -salvo marginali eccezioni- la loro incidenza e' pressoche' totale, e di accelerare il processo di entrata in vigore e di effettiva applicazione del Protocollo di Maputo sui Diritti della Donna Africana, approvato nel 2003, nel corso di un vertice dell' Unione Africana, che all'articolo 5 proibisce esplicitamente tale pratica. Il Protocollo e' stato finora ratificato da otto paesi: Libia, Isole Comore, Ruanda, Namibia, Lesotho, Sudafrica, Senegal, Nigeria; mentre si attende per domani l'annuncio della ratifica da parte del governo di Gibouti ed appare scontata anche quella del Kenya. L'assise di Gibuti, che si conclude domani, è parte integrante della campagna internazionale 'StopFGM!' che ha gia' raggiunto significativi risultati con la Conferenza del Cairo tenuta nel giugno 2003 e quella di Nairobi, del settembre 2004. E' stata organizzata dall'associazione 'Non c'e' Pace senza Giustizia' in cooperazione con il governo di Gibuti, ed il sostegno finanziario delle Agenzie ONU locali, di numerosi governi, tra cui la Cooperazione italiana, e di altri sponsor pubblici e privati.

 
 08 febbraio 2005
 

  • AFRICA: MUTILAZIONE GENITALE, UNA RIBELLIONE A GIBUTI. DONNE, MUSULMANE E NON, RESPINGONO CONFERMA DELLA PRATICA.
    di Remigio Benni
    Sono stati certo gli occhi vivissimi ed il sorriso luminoso della bimba africana che troneggiava, attraverso il manifesto della conferenza, nella sala del Palais du Peuple di Gibuti, a spingere le 150 donne che la affollavano ad alzarsi ed urlare il proprio sdegno, ottenendo il rifiuto ufficiale della prosecuzione delle orrende pratiche della mutilazione genitale femminile.
    E' accaduto oggi pomeriggio, mentre si concludeva la conferenza sub-regionale di due giorni sul tema "Verso un consenso politico e religioso sull' eliminazione della mutilazione genitale femminile" (Fgm). Promosso dall'organizzazione non governativa italiana 'No peace without justice', come terza tappa dopo il Cairo e Nairobi di un percorso teso a sviluppare sempre più la coscienza dell' orrore costituito dalle mutilazioni sul corpo femminile, l' incontro di Gibuti ha davvero accesso gli animi di tutte le presenti.
    Ad infiammarle sono state le parole degli 'Ulema' musulmani, che nell' intero pomeriggio avevano dibattuto tra loro e con altri esponenti religiosi, l' opportunità o meno della pratica. "Si sono formati due gruppi sostanzialmente opposti", racconta all' Ansa l' etiope Bogalmesh Gebra, fondatrice e direttore esecutivo di un centro per la protezione della salute della donna di Kambata, nel sud dell' Etiopia.
    Da una parte ong e società civile sostenevano la necessità dell' eliminazione della pratica dell' Fgm. Dall' altra Ulema e religiosi, che, pur concordi sul 'no' all' infibulazione (la pratica anche chiamata 'faraonica', con l' eliminazione di clitoride, piccole e grandi labbra e cucitura, lasciando solo una piccola apertura), dibattevano su eventuali gradualità dell' intervento. "Ad un certo punto dal tono della discussione sembrava che ci si trovasse - commenta Gebra - tra periti settori, con qualche connotazione anche di morbosità deviante, dati i dettagli che venivano descritti". "C'era solo uno sheikh sudanese, elegantissimo, con il suo turbante bianco, che per tutto il tempo si è opposto al punto di vista dei suoi colleghi. E noi lo abbiamo applaudito quando è passato".
    Dopo la discussione in aula, gli Ulema si sono riuniti ed hanno elaborato il proprio documento nel quale "dopo sottili mediazioni da diplomatici", commenta un' altra intervenuta, si era arrivati a ufficializzare che, se non un dovere islamico, l' Fgm rimane comunque una pratica da rispettare. "Eravamo deluse - osserva Mariam Ismail, somala di 45 anni, da 26 residente a Milano, dove realizza progetti con la regione Lombardia - temevamo che non ci fosse più nulla da fare". Quando, però, il ministro del culto gibutino, incaricato anche degli affari musulmani, Mogueh Dirir Samatar, ha cominciato a leggere quel documento, le presenti in sala si sono ribellate. "Rejeté", "rejeté" (respinto, respinto), è stato il grido che poco alla volta è diventato un boato, (anche con il contributo dei ministri gibutina Hawa Ahmed, e kenyana Linah Kilimo), obbligando Samatar, già poco convinto da parte sua, ad interrompere la lettura e cancellare definitivamente quel passaggio dal documento finale. Mentre le protagoniste della ribellione, tanto in tailleurs eleganti, quanto in altrettanto distinti caftani multicolori, si felicitavano per il successo, è arrivato il primo ministro gibutino, Dileita Mohamed Dileita, che ha consegnato al rappresentante dell' Unione Africana la copia del Protocollo di Maputo, ratificato e controfirmato dal suo governo. "Un sigillo reale alla volontà di eliminare dall' Africa la mutilazione genitale", commenta l'eurodeputata radicale Emma Bonino, principale organizzatrice della conferenza.
    Decorata in modo imprevisto della massima onorificenza del presidente della repubblica gibutino, Bonino confessa all' Ansa la sua sorpresa, aggiungendo che: "se c'é una certezza è che qui a Gibuti è stato respinto il gradualismo degli Ulema nell' affrontare questo spinoso problema. Le donne hanno detto che si deve agire per impedire che qualsiasi altra bambina debba soffrire per questa abitudine disastrosa. E' per questo - conclude - che dovremo intensificare il dialogo con gli ulema e con tutti quegli esponenti religiosi che ancora non l' hanno capito". 
  • AFRICA: MUTILAZIONE FEMMINILE, RESPINTA POSIZIONE ULEMA. MINISTRO GIBUTI STRAPPA DICHIARAZIONE CONSERVATRICE DI RELIGIOSI.
    Al grido, scandito ripetutamente, di "rejeté" (respinto), alcune centinaia di donne presenti nella sala in cui si svolgeva la seduta conclusiva della conferenza sub-regionale di Gibuti hanno rigettato il documento con il quale gli 'ulema' (studiosi) musulmani avevano ammesso la possibilità di continuare la pratica della mutilazione genitale.
    "E' stato un momento molto suggestivo - commenta all' Ansa Marian Ismail, la somala che a Milano dirige i progetti dell' associazione Donne in Rete - perché quando ho cominciato a gridare era la forza della disperazione a spingermi a rifiutare che quell' orrore continuasse a ripetersi. Mi è venuto da piangere quando ho visto che tutte in sala gridavano con me e che il ministro dei beni religiosi strappava quel documento". Subito dopo la cancellazione di una parte del documento da parte del ministro Mogueh Dirir Samatar, il primo ministro gibutino, Dileita Mohamed Dileita, ha annunciato la ratifica da parte del governo del Protocollo di Maputo, che sancisce il divieto in tutta l' Africa della pratica della mutilazione genitale.
    "Gibuti sarà ricordata come la prima volta della sconfessione aperta e pubblica di questa pratica - afferma la principale organizzatrice della conferenza, l'europarlamentare radicale Emma Bonino, raggiunta dall' Ansa - se il Cairo è stata la sede degli strumenti legali, Nairobi quella della comparsa della società civile, d' ora in poi Gibuti sarà il simbolo della forza di questa battaglia".