Sub-Regional Conference on Female Genital Mutilation, "Towards a political and religious consensus against FGM" - Media Coverage

Il Sole 24 Ore - Djibouti, 2-3 February 2005

Il Sole 24 Ore
 
08 febbraio 2005

  • NOI DONNE NEL MONDO ISLAMICO
    di Emma Bonino
    La prima cosa da ricordare quando si parla di donne musulmane, ho imparato, è che la donna “musulmana” è un'astrazione. Esistono le donne turche, quelle marocchine, le egiziane e le saudite, le donne del Sudan, con problemi molto diversi. E la loro condizione è dettata non tanto dalla religione in astratto, ma dalla struttura politica del Paese al quale appartengono, più o meno influenzata dalla religione.
    La seconda cosa che ho imparato, mi sembra, occupandomi - tra l'altro- della condizione e del ruolo della donna in questa parte di mondo, è che la realtà femminile è una forza straordinaria, ed è davvero il “ventre molle” dell'estremismo come è stato giustamente detto, una forza di razionalità, di saggezza e di sviluppo. E non è un caso che molte donne musulmane si siano mobilitate in passato per la liberazione di ostaggi innocenti, e lo stiano facendo adesso anche per l'italiana Giuliana Sgrena. Sei anni fa a Siviglia, all'epoca del primo forum con donne islamiche, organizzato da “Non c'è pace senza giustizia”, le differenze nazionali sono emerse nette. In Turchia e Tunisia, che hanno avuto un Ataturk e un Bourghiba, e una separazione fra religione e Stato, tutto o quasi il capitolo dei diritti personali (divorzio, custodia dei figli, aborto eccetera) è risolto. Resta, in Tunisia, il problema dell'eredità, che viene per la donna ridotta. Il Marocco con la riforma di due anni fa ha lasciato una zona grigia "solo" per la poligamia. Questa è la pattuglia di punta seguita a ruota dalla Giordania. Sul fronte opposto abbiamo l'Arabia Saudita, dove la donna non ha diritti civili e addirittura non può avere la patente di guida, il Kuwait dove possono guidare l'auto ma non votare perché il Parlamento ha respinto una proposta dello sceicco in tal senso, per non ricordare, nella seconda metà degli anni '90, l'Afghanistan dei talebani. In mezzo, tutti quei Paesi dove la shaaria non è l'unica fonte del diritto, ma una delle fonti, e che chiamiamo “moderati”. Con notevoli problemi, come le diffuse mutilazioni ai genitali femminili contro cui si sono ribellate pochi giorni fa a Gibuti le delegate alla Conferenza sull'eliminazione di questa pratica violenta, zittendo ulema e ministri del culto, e ottenendo una vittoria che ci ripaga ampiamente di tutto il lavoro fatto per affermare elementari diritti della persona.
    Da alcuni anni, e non saprei dire se dal drammatico 2001 o prima, l'universo delle donne nei paesi musulmani, ciascuno con le sue caratteristiche, è in movimento. Non le abbiamo viste votare in Afghanistan perché eravamo distratti, ma finalmente le abbiamo viste votare, coraggiosamente votare, in Iraq. Si è creato recentemente l'Arab International Women forum guidato da Haifa al Kyriani che si occupa dei diritti economi e delle donne arabe imprenditrici. Abbiamo, in Egitto, Mushira Khattab, che si batte contro le mutilazioni. Ma in Giordania persino l'appoggio coraggioso della regina Rania non è stato sufficiente ad abolire la tolleranza giuridica del “crimine d'onore”. In Yemen dove le donne hanno diritti elettorali attivi e passivi dal 93, c'è un gran movimento per le “quote” in Parlamento, ma in Sudan o in alcune parti della Nigeria si può essere lapidate per adulterio”. La Conferenza di Gibuti ha dimostrato che una volta organizzate, una volta non lasciate più sole, queste donne straordinarie hanno una forza travolgente, e non le ferma più nessuno. Sono loro il soft power che può spingere questi Paesi ad aperture democratiche e di sviluppo rilanciando una cultura carica di storia e di valori. A parte i discorsi della domenica, quelli che non costano niente e riempiono il tempo libero, il mondo politico dovrebbe porre molta attenzione e molte energie in questo settore, smetterla di considerare l'impegno radicale in questo campo come una bizzarria utopistica e sostenere queste donne del mondo musulmano, incominciando a capire per prima cosa le varie realtà culturali e nazionali in cui si muovono e in cui lavorano per un futuro più rispettoso dei diritti di tutti.