Libia/TPI: “Sulla custodia di Saif al-Islam Gheddafi la CPI dovrebbe fare meglio”

Intervista ad Alison Smith, Consigliere Legale e Direttore del Programma di Giustizia Penale Internazionale di Non c’è Pace Senza Giustizia, Bruxelles, 6 agosto 2013

 

Il 18 luglio 2013, la Camera d'appello della Corte Penale Internazionale (CPI) ha stabilito che Saif al-Islam Gheddafi debba essere trasferito a L'Aja in attesa di una decisione sulla ricevibilità del suo caso. La Libia ha dichiarato la giurisdizione primaria sul leader libico basandosi sul principio di complementarietà della CPI, secondo il quale la CPI non ha giurisdizione quando uno Stato vuole ed è ingrado di indagare e perseguire un dato crimine. Il 31 maggio 2013, la Camera Preliminare ha rigettato la richiesta libica e ordinato il trasferimento di Saif al-Islam Gheddafi all’Aja. La Libia ha presentato ricorso contro questa decisione il 7 giugno 2013 e ottenuto una sospensione temporanea dell’ordine di trasferimento, in attesa del risultato dell’appello. La Camera di Appello della CPI non ha ancora deciso una data per la sua decisione in merito alla questione di complementarietà avanzata dalla Libia ma la sua decisione della scorsa settimana ha confermato l’ordine di trasferimento di Saif al-Islam Gheddafi in attesa della determinazione.
 
Qual è l’impatto della decisione della Camera di Appello? Come sarà accolta nel Paese?
Alison Smith: “Non sarà facile spiegare questa decisione senza precedenti al popolo libico. In primo luogo, dovremmo  ricordare I desideri delle vittime di violazioni dei diritti umani e dell’intera popolazione, ovvero che sia Saif al-Islam e Abdulla al-Senussi siano processati in loco per affrontare la Giustizia nello stesso posto in cui hanno presumibilmente compiuto le loro brutali azioni. In secondo luogo, in Libia abbiamo diverse errate concezioni sulla CPI e sul suo funzionamento, fraintendimenti dovuti al fatto che la CPI fà molto poco per comunicare e dimostrare il suo lavoro localmente e per stabilire una presenza sul posto. La decisione attesa potrebbe quindi aumentare tali percezioni ed i rischi che potrebbero danneggiare la credibilità della Corte e il suo futuro ruolo nel paese. In aggiunta a tutto ciò, la Camera di Appello sta ancora considerando se la questione di complementarietà avanzata dalla Libia debba precludere la giurisdizione della CPI e permettere alla giurisdizione nazionale di avere la precedenza, come previsto dallo Statuto di Roma”
 
Questo significa che se la Libia dovesse vincere il ricorso la CPI dovrebbe rimandare Gheddafi nel Paese?
Alison Smith: “Esattamente. Possiamo facilmente immaginare le difficoltà che implicherebbe questa decisione, senza neanche considerare lo spreco di tempo e soldi, di cui la Corte non certo abbonda. Ci si potrebbe ragionevolmente domandare se mandare avanti e indietro un imputato da un paese a un altro sia la scelta migliore per una Corte il cui principio fondante è che lo Stato dovrebbe indagare e perseguire da sé presunti criminali di guerra. E’ davvero così che gli Stati parte vogliono che siano spese le risorse della Corte? Sicuramente tempo, soldi e volontà politica sarebbero meglio impiegati nell’assistere la Libia a portare avanti il processo da sola, piuttosto che lottare per estradarlo dal suolo libico.
 
Questa argomentazione suona simile a quella della Libia nella quale la richiesta di trasferimento di Gheddafi all’Aja creerebbe una situazione irreversibile e difficile da riparare se dovessero vincere l’appello. Comunque la Camera di Appello si è detta non convinta dell’argomentazione – qual è la sua opinione a riguardo?
Alison Smith: “Si, lo hanno ditto, ma le motivazione della Camera di Appello sono piuttosto brevi e perentorie. Ci si potrebbe chiedere se la Camera di Appello abbia davvero considerato i vincoli legali e politici del paese ospitante la CPI, i Paesi Bassi, al momento di un eventuale assistenza al rimpatrio di Saif al-Islam  per affrontare il procedimento nazionale sottoposto alla legge libica. Hanno effettivamente preso in considerazione il fatto che l'impatto della resa di Gheddafi potrebbe pregiudicare non solo il caso giudiziario libico contro Gheddafi, uno dei loro principali sospetti, ma anche altri casi che formano la spina dorsale della strategia di giustizia di transizione della Libia? Questa argomentazione sembra in effetti avere qualche ragione e meriterebbe un ragionamento più dettagliato sul motivo per cui non regge con la Camera di Appello”.
 
Pensa che questa decisione possa inficiare la fiducia della popolazione locale e delle vittime nella capacità delle autorità libiche di portare avanti procedimenti equi ed efficaci?
Alison Smith: “Questo è certamente un aspetto che merita alcune considerazioni e costituisce parte della ragione per cui la polemica libica pare avere dei meriti. Se alle vittime e ai testimoni libici viene detto dalla CPI che la Libia è incapace di fare il lavoro, allora è logico concludere che essi coopereranno meno volentieri con le autoritarie giudiziarie nazionali. Senza la testimonianza di vittime e testimoni e senza il supporto del pubblico, come potrebbero le autorità libiche fare progressi nelle indagini e nella strutturazione dei procedimenti?
 
Ciò significa che la CPI sta sottovalutando i tentativi e l’impegno dello Stato libico di investigare e perseguire i crimini commessi prima e durante il conflitto?
Alison Smith:  “Il fatto è che non abbiamo a che fare con uno Stato che finge di investigare e perseguire. Abbiamo a che fare con uno Stato che vuole effettivamente farlo, anzi, di più: uno Stato che è positivamente ansioso di affrontare i crimini commessi sul suo territorio e dai suoi cittadini. Si, i mandati di cattura della CPI contro i maggiori ufficiali del regime di Gheddafi sono stato bene accolti dai libici ma un processo fuori dalla Libia è qualcosa che il popolo non ha mai voluto; i libici volevano, e vogliono ancora, che Saim al-Islam e la sua famiglia affrontino le vittime sul loro territorio per rispondere delle accuse sui terribili crimini di cui sono imputati, crimini commessi contro il popolo libico”.
 
Pensa che la Camera di Appello abbia trascurato le conseguenze potenziali sul terreno della sua decisione?
Alison Smith: “Chiaramente, piuttosto che essere un mero esercizio accademico, la decisione dovrebbe essere considerato come un test del principio di complementarietà che ha conseguenze reali per un Paese impegnato ancora nel processo di superaramento del proprio passato. Considerando che la CPI non ha bisogno di Saif al-Islam per il processo almeno fin quando la disputa giurisdizionale sarà risolta, la Camera di Appello avrebbe dovuto mantenere lo status quo fino alla determinazione degli esiti dell’appello. Quando la CPI richiede la cooperazione dello Stato, deve farlo basandosi su decisioni chiare e ben comprensibili altrimenti l’unico risultato saranno pià istanze di non-cooperazione. Se la CPI vuole mantenere e rinnovare prestigio, autorità e credibilità deve fare meglio di quanto fatto fin’ora”. 

 
Per maggiori informazioni è possibile contattare Alison Smith all'indirizzo asmith@npwj.org o al numero +32-2-548-3912, oppure Nicola Giovannini all'indirizzo ngiovannini@npwj.org o al numero +32-2-548-3915.