Bahrein: riforme, repressione, o entrambe?

Alison Smith*, 3 febbraio 2012

 
Come i suoi vicini, il Bahrein è stato teatro, durante lo scorso anno, di sistematiche violazioni di diritti umani, accompagnate dall’emergere, tra i suoi cittadini, di un sentimento a favore della democrazia. Tuttavia, tra i vari paesi colpiti dall’ondata di proteste civili, il Bahrein rappresenta un unicum per la singolare reazione del suo Governo e del suo sovrano, il re Hamad bin Isa Al-Khalifa, che ha promosso l’istituzione di una Commissione Indipendente d’Inchesta (BICI). Scopo di questa Commissione è stato quello di analizzare le violazioni commesse e raccomandare un’adeguata risposta al loro perpetrarsi. Sebbene il suo operato non sia stato privo di difetti, la Commissione crea una duplice promettente opportunità, da un lato, per la popolazione bahreinita, di richiedere riforme e riparazione e dall’altro, per lo Stato, di soddisfare tale richiesta. In meno di una settimana il Bahrein festeggerà il primo anniversario dall’inizio della “sua” rivoluzione. Tuttavia, spetta al re Hamad ed al Governo decidere se il 14 febbraio 2012 sarà un giorno di festa per le libertà conquistate o semplicemente l’ennesimo giorno di lotta e repressione dei cittadini Bahreiniti.
 
Il 23 Novembre 2011 la Commissione ha pubblicato il suo rapporto, lungo 500 pagine, sulle presunte violazioni dei diritti umani avvenute durante le proteste di massa dello scorso febbraio e marzo. Secondo il rapporto, le forze di sicurezza bahreinite hanno perpetrato “massicce e sistematiche violazioni e torture diffuse” ma potrebbero, mettendo in atto una serie di riforme in esso raccomandate, assicurare nuovamente ai bahreiniti il rispetto dei loro diritti fondamentali. Accettando immediatamente il Rapporto e le raccomandazioni che contiene, il Re del Bahrein ha garantito l’impegno dello Stato a realizzare tutte le riforme in esso suggerite. Tuttavia, nonostante le promettenti intenzioni, pochi cambiamenti sono stati effettivamente intrapresi e la popolazione bahreinita continua a soffrire per le violenze perpetrate per mano dello stesso governo.
 
Le conclusioni e la metodologia del Rapporto della Commissione non sono tuttavia privi di errori. L’analoga enfasi che esso pone nei riguardi dei crimini commessi da singoli individui e dei crimini contro l’umanità commessi dallo Stato sembra essere un tentativo imperdonabile di bilanciare i due. Inoltre, alcune raccomandazioni, sebbene progressiste, sono incongruenti. Per esempio, il Rapporto riconosce che centinaia di dimostranti pacifici sono stati arrestati, imprigionati senza equo processo e spesso torturati. Tuttavia, invece che sostenere la loro liberazione immediata e senza condizioni, propone che essi siano sottoposti ad equo processo, senza considerare che il loro “crimine” iniziale di condurre dimostrazioni pacifiche non è affatto un crimine ma un diritto fondamentale.
 
Nonostante questi difetti, il Rapporto può essere catalizzatore di un cambiamento positivo - se il Governo bahreinita accetta la sua responsabilità nell’assicurare alla giustizia i perpetratori, nel porre fine alle violazioni di diritti umani e nel garantire una risposta alla richiesta della popolazione bahreinita di diritti politici. Alcuni sviluppi in questo senso sono già stati compiuti. Significativamente, il governo ha riferito al pubblico ministero tutti i casi riguardanti decessi, torture e trattamenti inumani commessi dalla polizia; ha permesso alla Croce Rossa di visitare le prigioni del Paese ed ha ordinato che tutti gli individui illegalmente licenziati in ragione delle loro visioni politiche siano reintegrati. Tuttavia, molti dei manifestanti che sono stati arrestati in seguito alle dimostrazioni pacifiche non sono stati ancora liberati, le vittime di abusi non hanno ancora ricevuto compensazione e le figure di primo piano legate alla perpetrazione dei crimini devono ancora essere processate o rimosse (ed alcuni sono stati addirittura promossi, come nel caso del Consigliere per la Sicurezza Nazionale, lo Sceicco Khalifa bin Abdulla Al Khalifa). Tutte queste mancanze concorrono a conservare intatta la tardizionale cultura bahreinita dell’impunità
 
In particolare, le riforme finora realizzate hanno aiutato, in maniera parziale, la rettifica degli abusi passati ma hanno fallito nell’affrontare le mancanze strutturali del Governo bahreinita e delle forze di sicurezza, primi responsabili del perpetrarsi di tali abusi.Il primo risultato immediato è che l’opposizione ed i cittadini bahreiniti continuano a trovarsi di fronte ad esclusione o disinteressamento da parte delle autorità, limite che ostacola notevolmente la possibilità di un cambiamento significativo nel breve e lungo termine.
 
La cosa più allarmante di tutte è il protrarsi delle violenze contro i manifestanti bahreiniti. Il mese scorso, tra coloro che sono rimasti feriti per mano delle forze di sicurezza, c’era il rinomato attivista per i diritti umani Nabeel Rajab. Nelle passate due settimane, altri sei manifestanti sono stati uccisi - compreso il quattordicenne Yaseen al-Asfoor, morto dopo aver inalato il gas tossico usato dal governo per disperdere i manifestanti. Il perpetuarsi di tali abusi dei diritti umani va a detrimento non solo della sicurezza e sopravvivenza dei cittadini bahreiniti, ma anche di ogni residua prospettiva di riconciliazione nazionale e di riforme pacifiche. Ogni nuovo atto di violenza non fa che rendere più ostile l’opposizione e radicalizzare la popolazione, rallentando in definitiva e potenzialmente ostacolando il raggiungimento definitivo di libertà e riforme politiche nel paese. Se il paese è onesto sulle riforme, deve proteggere piuttosto che negare i diritti fondamentali dei suoi cittadini: le violenze contro i manifestanti devono cessare, la libertà di espressione e associazione devono essere almeno rispettate se non addirittura protette ed infine, ciascuna delle raccomandazioni previste dal Rapporto deve essere pienamente attuata. Questi cambiamenti devono essere realizzati immediatamente.
 
Il presente contesto di libertà negate e lente riforme pone un ulteriore ostacolo al futuro di un Bahrein libero: ogni giorno che passa aumenta il pericolo che la mera pubblicazione del Rapporto – piuttostro che la completa attuazione delle sue raccomandazioni - possa essere considerata sufficiente, mentre il perseguimento della giustizia e la promozione dei diritti umani vengono messe da parte lungo la sua scia. Per assicurare che ciò non avvenga, la prima raccomandazione della Commissione deve essere soddisfatta, deve essere cioè istituito un meccanismo indipendente ed imparziale per rendere effettive e monitorare le raccomandazioni del Rapporto. Inoltre, per essere significativo, questo meccanismo dovrebbe essere guidato dalla società civile, che sarà in definitiva il guardiano della situazione dei diritti umani nel futuro Bahrein.
 
Anche i governi stranieri devono cogliere ogni opportunità per tracciare e valutare i progressi del Governo bahreinita nel porre in atto le riforme necessarie, nonché agire in funzione di essi.In altre parole, le conseguenze dell’attuazione – o del fallimento – delle riforme devono influenzare anche le politiche estere dei governi nei riguardi del Bahrein. La recente decisione del Dipartimento di Stato americano di sospendere la vendita di armi per un valore di 53 milioni di dollari al governo bahreinita è un esempio encomiabile di tale atteggiamento. Questa decisione ha fatto seguito alla scoperta che le armi americane (come quelle europee e russe) sono state e continuano ad essere usate dal governo bahreinita durante le manifestazioni contro i civili. È quindi estremamente importante che tutti i governi coinvolti in accordi di tale genere sospendano o continuino a tenere in sospeso la vendita di armi così che le decisioni dei governi stranieri promuovano, anziché ostacolare, il benessere dei cittadini bahreiniti.
 
Ci sono infine tre potenziali forme di pressione che possono essere messe in atto dagli organismi internazionali - comprese le ONG e le Nazioni Unite - che, se realizzati, possono incoraggiare concrete riforme governative: la supervisione dei progressi del Bahrein, il coinvolgimento in azioni locali di monitoraggio e la sottomissione del Rapporto al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.
 
Il futuro del Bahrein rimane incerto, sospeso tra la possibilità di riforme, repressione o, come nello stato attuale, un’incongrua combinazione di entrambe. Finora, i cittadini bahreiniti hanno da soli perseverato nella ricerca di un Bahrein libero e democratico, ma il loro successo avrà bisogno del supporto di attori nazionali ed internazionali. Riforme significative ed a lungo termine tuttavia, possono essere messe in atto solo dall’interno e spetta quindi al Governo ed al Sovrano bahreiniti prendere decisioni in questo senso. Si deve dar loro atto di aver commissionato un’inchiesta, accettato le proprie responsabilità e promesso un cambiamento. Ora è arrivato il momento di passare dalla parole ai fatti.
 
 
* Alison Smith è consigliere legale e Coordinatrice del Programma sulla Giustizia Penale Internazionale di NPSG