Per la protezione e la promozione dei diritti umani, della democrazia, dello stato di diritto e della giustizia internazionale
NPWJ in the news
ICC South Africa Ruling: Interview with Alison Smith, Director of No Peace without Justice Program
TRT World TV, 12 Jul 2017
Intervista a Niccolò Figà Talamanca sulla grave situazione economica di Non c'è Pace Senza Giustizia
Radio Radicale, 29 Jun 2017
Intervista a Niccolò Figà Talamanca (segretario generale dell'Associazione Non c'è Pace senza Giustizia) realizzata da Cristiana Pugliese
Non fermate Ban FGM (la campagna contro le mutilazioni genitali). L’appello di Emma Bonino
di Gianna Fregonara, Corriere della Sera, 15 Jun 2017
Ci sono “buone battaglie” che vale sempre la pena di combattere. Una di queste è quella per l’abolizione delle mutilazioni genitali femminili, una pratica ancora molto diffusa in molti Paesi africani e che si conta secondo i dati dell’Unicef che ogni anno tocchi a tre milioni di bambine sotto i quindici anni. A combattere questa battaglia c’è anche l’associazione Non c’è pace senza giustizia fondata nel 1993 da Emma Bonino. Sono ormai 17 anni che l’ex commissaria europea e ministra degli esteri porta avanti questa campagna.
Dal 2014 Non c’è pace senza giustizia guida un progetto in sette Paesi dell’Africa: Burkina Faso, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Mauritania, Niger e Senegal. L’idea di questo lavoro - che si ispira alla risoluzione delle Nazioni Unite del dicembre 2012 che dichiara illegali le mutilazioni genitali femminili nel mondo è quella non di considerare queste pratiche barbare come una questione soprattutto medica ma di coinvolgere istituzioni, governi, comunità locali affinché si affrontino i pregiudizi culturali, religiosi e sessuali trovando le politiche migliori per impedire che questa forma di tortura continui ad essere impunemente praticata.
Si tratta dell’incisione o addirittura asportazione, parziale o totale, dei genitali femminili esterni. Le bambine che la subiscono – e il fenomeno di mamme che vivono in Europa e rimandano le proprie figlie a casa per farne spose bambine e mutilate è preoccupante – dovranno poi fare i conti con danni irreversibili per la loro salute fisica e anche psicologica. Si stima che ad oggi ci siano 125 milioni di donne che hanno subito questa pratica, per lo più in Africa. Pratiche illegali, dolorosissime e pericolose per la salute della bambina e poi della donna con conseguenze al momento del parto, terribilmente umilianti per chi le subisce.
Ora il progetto di Non c’è pace senza giustizia rischia di doversi fermare perché uno dei partner africani dell’operazione, di quelli che portano sul territorio il confronto, le informazioni alle donne e l’accoglienza per le vittime, non è più in grado di pagare il suo contributo che serve per finanziare conferenze, seminari e interventi locali nei sette Paesi africani.
Mancano decine di migliaia di euro che porterebbero – come scrive Emma Bonino in una lettera in cui lancia l’allarme- «a pregiudicare in modo irreparabile venticinque anni di storia: questa somma serve a completare le attività della campagna che ha ricevuto anche un finanziamento della cooperazione italiana. Non realizzarle comporta la restituzione al donatore dell’importo non speso». In pratica la fine del progetto, che vale per il 2017 445 mila euro divisi negli interventi nei sette Paesi, proprio dopo la conferenza di Roma nel gennaio scorso aveva riconosciuto i progressi fatti dall’approccio sociale e politico che mira a far crescere la consapevolezza e a sfatare le falsità legate alla tradizione e alle credenze rispetto all’approccio soltanto medico o finanziario al problema della mutilazione genitale delle ragazze.
Non è solo con un bonifico (eventualmente da intestare a Non c’è Pace Senza Giustizia, Banca di Credito Cooperativo di Roma c/c 2472, IBAN IT 24 E08327 03221 000000002472, BIC/SWIFT ROMAITRR) che si può cercare di evitare che il progetto si debba fermare. «Anche in Italia, in Europa – è l’appello di Emma Bonino - è necessario parlare e agire perché le donne immigrate non continuino questa pratica inumana contro le loro figlie».
Civilian Casualties Mount in Battle to Re-take Mosul
Mark Lattimer, The Wire, 08 Jun 2017
East of Mosul, many of the lands liberated from ISIS stand empty. Driving through the Nineveh plains, traditional homelands of Iraq’s minority communities of Yezidis, Christians, Shabak and Turkmen, you pass one ghost town after another, peopled only by members of the armed militias known in Iraq as the Hashd al-Shaabi, or ‘popular mobilisation’.
Houses destroyed by ISIS vehicle bombs are juxtaposed with buildings flattened by international coalition air strikes. Inside the houses in many residential streets, there are holes smashed into the party walls to create the rat-runs used by insurgents to evade surveillance.
The battle to retake Mosul is already nearly eight months old and, as resistance on the city’s right bank has proved intense, civilian casualties have mounted rapidly. Yet many of the empty territories in Nineveh east of the city and in Sinjar to the west were first retaken months ago.
They join lands in Diyala, Kirkuk and Anbar where ISIS has been defeated but displaced people numbering in the millions have yet to return. To understand why is to appreciate the threats that now hang over the future of Iraq – threats that will not disappear when ISIS is defeated.
The Iraqi central government in Baghdad and the Kurdistan Regional Government in Erbil are broadly in agreement that IDPs can only return once security and services are restored. They have a point. There is extensive destruction to essential infrastructure. When thousands of civilians first returned to Ramadi after it was retaken, there were dozens of reported serious casualties from booby-traps and other IEDs and explosive remnants of war.
But many displaced minority communities now believe that their return is being delayed for other reasons. Christians, Yezidis, Shabak and Turkmen all cite cases where IDPs and supplies have been stopped at checkpoints, as detailed in a new report published by four international NGOs, Minority Rights Group International, the International Institute for Law and Human Rights, the Unrepresented Nations and Peoples Organisation and No Peace Without Justice. The fear is that land-grabbing is already underway.
Assyrian Leader Voices Concern at EU-parliament Conference on Future of Nineveh Plain
AINA News, 07 Jun 2017
Brussels (AINA) -- The President of the Assyrian Confederation of Europe (ACE), Attiya Gamri, voiced strong concerns on the treatment of Assyrians and Yazidis by Kurdish military and political groups in northern Iraq during a conference in the European parliament on June 6.
The Conference, titled Post-ISIS Nineveh: The European Response, was hosted by Ms. Ana Gomes and Mr. Elmar Brok, members of the European Parliament, organized by various entities, including the Institute for International Law and Human Rights (IILHR), the Multinational Development Policy Dialogue of Konrad-Adenauer-Stiftung, No Peace Without Justice (NPWJ), the Unrepresented Nations and People's Organization (UNPO), and Minority Rights Group International (MRG).
Several important questions still remain six months into the the military operation to retake Mosul from ISIS, with the most important being the issue of the political, social and economic conditions for the sustainable return of those who lost homes and livelihoods as a result of the conflict.
Speakers included Iraqi parliamentarians and civil society activists, MEPs, EU institutions and EU member states representatives. The president of the Assyrian Confederation of Europe asked EU-officials not to overlook the role of Kurdish political groups such as the peshmerga and the KDP political party of Kurdish leader Massoud Barzani in the difficulties facing Assyrians and Yazidis in the Nineveh Plain and Sinjar. "During my visits to the region Assyrians and Yazidis have whispered carefully in my ear of the oppression they face from Kurdish groups. I'm glad that as an European living in freedom I don't have to whisper and that I can be their voice in this chamber today", she said.
The peshmerga has been accused of ethnic cleansing, arbitrary arrests and a range of other atrocities against non Kurds in reports from Amnesty, Human Rights Watch and other human rights organisations. The United States Commission on International Religious Freedom in its recent report on the Kurdish region paints a dark picture of the reality on the ground.
Se in Siria non si persegue la via della giustizia non ci sarà più pace né ricostruzione
Marco Perduca e Gianluca Eramo, Huffington Post, 06 Apr 2017
L'attacco chimico che il 4 aprile ha colpito la cittadina siriana di Khan Sheikun, provocando la morte di decine di siriani tra cui 20 bambini, è solo l'ultimo episodio di un conflitto crudele che negli ultimi sei anni ha prodotto centinaia di migliaia di morti e milioni di rifugiati. In vista di importanti decisioni della Comunità Internazionale con Gianluca Eramo, direttore del Progamma Democrazia nella regione MENA di "Non c'è Pace Senza Giustizia", riteniamo che occorra porre con forza l'attenzione delle istituzioni su alcuni elementi imprescindibili per una soluzione del conflitto.
Mentre il Consiglio di Sicurezza dell'ONU si riunisce d'urgenza per deliberare su una proposta di risoluzione presentata da Francia, Stati Uniti e Regno Unito - che condanna l'uso di armi chimiche in Siria e richiede una chiara individuazione delle responsabilità per questa ennesima violazione del diritto internazionale - i leader mondiali si riuniscono a Bruxelles per discutere possibili strategie per il futuro della Siria e della regione lungo tre linee guida generali: valutare il mantenimento degli impegni presi alla conferenza di Londra del febbraio 2016; ribadire gli impegni presi e incoraggiare un sostegno aggiuntivo per le persone in situazione di bisogno in Siria e nei paesi limitrofi insieme alle rispettive comunità ospitanti; evidenziare gli sforzi da parte della comunità internazionale per favorire un buon esito dei colloqui che coinvolgono membri di fazioni siriane sotto l'egida delle Nazioni Unite. Allo stesso tempo è previsto che la conferenza di Bruxelles cominci a considerare eventuali forme di "assistenza post-accordo", cioè investimenti necessari per la ricostruzione di un paese devastato da anni di violento e prolungato conflitto, che dovrebbero seguire il raggiungimento di un documento finale.
La ricostruzione sarà chiaramente necessaria: la popolazione siriana è stata decimata e le sue infrastrutture devastate. Città intere sono in rovina, scuole distrutte, ospedali incapaci di funzionare, e tutti i servizi pubblici necessari a sostenere la vita quotidiana danneggiati in maniera gravissima. Questa distruzione rappresenta, naturalmente, anche una grave violazione delle leggi internazionali per la protezione dei diritti umani. Includere quanto sopra nell'agenda dei colloqui finalizzati a ottenere sostegno per le necessità di tipo umanitario e il negoziato tra siriani potrebbe equivalere a porre il carro di fronte ai buoi. Prima di tutto si anteporrebbe la ricostruzione al recupero, quasi a pensare prima ai mattoni che agli esseri umani - il popolo siriano non può più permettersi di accontentarsi di un posto in seconda fila mentre i suoi diritti e i suoi bisogni vengono discussi, sia ciò a causa degli interessi geopolitici o per la ricostruzione. Seconda di poi, si rischia che gli sforzi per la ricostruzione subiscano la stessa sorte dell'aiuto umanitario – al momento sotto attacco e negato in quanto mezzo per controllare la popolazione e costringere la gente a spostarsi e alimentare la guerra.
Armi chimiche, stragi di Idlib, Siria
Radio Radicale, 05 Apr 2017
Intervista a Niccolò Figà Talamanca (segretario generale dell'Associazione Non c'è Pace senza Giustizia) realizzata da Sonia Martina.
Siria. Le voci della società civile
Spazio Transnazionale, Radio Radicale, 04 Apr 2017
Ad oltre sei anni dall’inizio del conflitto in Siria – che per l’ONU ha già causato oltre 5 milioni di rifugiati – focus sulla rinascita della società civile siriana. Intervengono Gianluca Eramo (Direttore Programma Medio Oriente e Nord Africa “Non c’è Pace senza Giustizia”), Martina Pignatti (Presidente di “Un ponte per”) e Laura Tangherlini (Giornalista e conduttrice televisiva di Rai News 24).
Nel corso della puntata, le testimonianze di Rami Nakhla (Coordinatore per “Non c’è Pace senza Giustizia” del Progetto Siria), Noura Al Jizawi (Vice Presidente della “Coalizione Nazionale della Rivoluzione Siriana e delle Forze di Opposizione”, Direttrice della ong “Start Point”) e Mazen Kewara (Medico siriano, Direttore della Syrian American Medical Society Foundation).
Siria: si lavora per la democrazia. Gruppo attivisti a Roma per incontrare istituzioni italiane
Radio In Blu, 30 Mar 2017
Siria, la costruzione della democrazia – Un gruppo di attivisti di diversi movimenti sociali siriani sono a Roma per due giorni per incontrare la società civile e le istituzioni italiane. I lavori sono stati organizzati da Un ponte per… insieme a No Peace Without Justice e alla Iraqi Civil Society Solidarity Initiative, che condividono l’impegno degli attivisti siriani nella difesa dei diritti umani. La società civile locale dal 2011 ad oggi ha resistito al peso della guerra e si è organizzata per fornire servizi, soccorrere le vittime, educare alla pace, esercitare la democrazia. Sentiamo Mazen Darwish del Syrian Centre for Media and Freedom of Expression, nell’intervista di Federica Margaritora.
Group says Duterte, not Robredo, upsetting int‘l community
By DJ Yap, Inquirer, 29 Mar 2017
It’s President Rodrigo Duterte, not Vice President Leni Robredo, who is upsetting the international community for his inducement of extrajudicial killings, according to a United Nations affiliate organization to which Robredo sent a video message criticizing Mr. Duterte’s war on drugs.
Speaking for the first time about the firestorm sparked by Robredo’s message to the UN Commission on Narcotic Drugs annual meeting in Vienna on March 16, David Borden, executive director of the UN-accredited Drug Reform Coordination Network, said the Vice President deserved no blame for shining a spotlight on Mr. Duterte’s bloody war on drugs.
In an e-mail correspondence with the Inquirer, Borden said it was Duterte himself who had diverted global attention to the Philippine human rights situation as a result of his strongman policy and rhetoric against drug pushers and users.
(…)
The Inquirer sought Borden and the other leaders of UN-affiliated groups who participated in the Vienna forum for comment on the political fallout that followed Robredo’s message.
“I did not hear anything in the Vice President’s speech that sounded like a betrayal of the public trust,” said Alison Smith, legal counsel and director for the International Criminal Justice Program of the UN-affiliated No Peace Without Justice.
“To the contrary, she appeared to be acting in the best interests of the public, and of the country as a whole, in appealing for a response to the drug problem based on human rights and the rule of law,” said Smith, who also took part in the Vienna meeting.
In an e-mail to the Inquirer, she said she found Robredo’s message to be “clear and convincing,” while the other participants seemed to find the Vice President’s remarks “inspiring and measured.”
Smith said two main points emerged from the forum: “One is that the way to treat a drug problem is through treatment and rehabilitation. Reducing demand can go a long way to address supply and can also help former drug users become productive members of society.” “The other important point was a sense of fear that in a situation such as we face today with a global rise in populist and authoritarian or authoritarian-leaning leaders, those leaders might adopt a similarly violent approach to drug problems in their own countries,” she said.
Filippine, liberiamo Leila de Lima
Marco Perduca, 15 Mar 2017
Quest’anno l’8 marzo nelle Filippine è stato festeggiato nel segno del NO alla guerra alla droga. Il Vice Presidente della Repubblica Leni Robredo e la Senatrice Risa Hontiveros hanno reso omaggio alla detenuta più famosa del paese: Leila de Lima. Arrestata il 23 febbraio 2017 con l’accusa di narco-traffico, la Senatrice De Lima, se riconosciuta colpevole, rischia da 12 anni all’ergastolo.
Da quando Rodrigo Duterte è stato proclamato Presidente della Repubblica il 30 giugno dell’anno scorso, nelle Filippine è in corso una massiccia campagna di esecuzioni extragiudiziali in nome della “guerra alla droga” con intimidazioni e minacce sistematiche contro chiunque avanzi critiche.
Fonti pubbliche dicono che dall’estate scorsa oltre 7000 persone, tra “spacciatori” e “drogati”, sono state uccise o trovate morte in circostanze da chiarire senza che le autorità nazionali abbiano aperto indagini ufficiali. Allo stesso tempo centinaia di migliaia di persone si sono consegnate “spontaneamente” alle autorità per paura di cadere vittime della campagna di violenza istituzionale che ha aggravato la già drammatica situazione dell’amministrazione della giustizia di quel paese e delle condizioni delle sue carceri.
Dall’inizio dell’anno la società civile filippina ha iniziato a reagire alle prepotenze presidenziali, in pochi giorni decine di manifestazioni sono state organizzate contro le violenze di Duterte tanto che il Presidente ha fatto richiamare in servizio 160mila agenti della Polizia Nazionale che a fine gennaio erano stati sospesi temporaneamente perché implicati in un enorme giro di corruzione. Anche la Conferenza episcopale filippina – organismo rilevante in un paese in cui oltre l’80% è di confessione cattolica – si è unita nelle critiche senza però far recedere il Presidente dalle sue azioni.
Nell’agosto dell’anno scorso, Leila De Lima aveva denunciato le responsabilità istituzionali delle uccisioni di massa occorse già una decina di anni fa, a seguito di indagini indipendenti. Erano indagini svolte nella città di Davao dove Duterte era sindaco e ras indiscusso. Dall’estate del 2016 il presidente filippino ha accusato la senatrice d’aver fatto entrare droga all’interno di uno dei più grandi carceri del paese quando ella era Ministra della giustizia. La campagna diffamatoria presidenziale ha portato il Presidente del Senato a rimuovere la De Lima dalla presidenza della commissione diritti umani con l’accusa di voler “distruggere il Presidente”. Da allora gli alleati del Presidente in Parlamento hanno confermato le accuse di Duterte nei confronti della loro collega. Il 17 febbraio scorso il Dipartimento di Giustizia ha rincarato la dose accusandola di vero e proprio narco-traffico.
La settimana scorsa Radicali italiani, Non c’è pace senza giustizia e l’Associazione Luca Coscioni hanno scritto a tutti i parlamentari italiani per chiedere l’immediata liberazione della senatrice De Lima e la fine delle uccisioni di massa nelle Filippine. In questi giorni è in corso a Vienna la riunione della Commissione ONU sulle Droghe e il 16, la Fondazione DRCNet e l’Internazionale liberale e altre associazioni asiatiche illustreranno il caso filippino anche nel quadro dell’attivazione della giurisdizione della Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità. Tra i presenti Jose Luis Martin “Chito” Guascon, Presidente Commissione sui diritti umani, Repubblica delle Filippine; Lousewies van der Laan ,ex leader degli olandesi D66; Maria Leonor “Leni” Girona Robredo, Vice Presidente delle Filippine; Alison Smith, di Non c’è Pace Senza Giustizia; Abhisit Vejjajiva Presidente dei Liberali e dei Democratici asiatici, ex primo ministro della Thailandia oltre David Borden, direttore esecutivo della DRCNet Foundation e chi scrive.
Tutto il mondo contro Duterte: pioggia di critiche sulla guerra alla droga
di Andrea Spinelli Barrile, International Business Times, 13 Mar 2017
Lo scorso 23 febbraio la signora Leila de Lima è stata arrestata a Manila, nelle Filippine, accusata di corruzione e narcotraffico, diventando la più famosa detenuta del Paese, in patria e all'estero. Leila de Lima è una senatrice del Parlamento della Repubblica delle Filippine, già Ministro della Giustizia con il precedente governo, e negli ultimi mesi si è distinta per essere un'accanita oppositrice al presidente Rodrigo Duterte, criticandolo fortemente e accusandolo di responsabilità dirette nelle esecuzioni extragiudiziali di “spacciatori” e “drogati”: oltre 7.000 cadaveri dal 1 luglio ad oggi, secondo i numeri snocciolati dallo stesso governo filippino (la vice-presidente Robredo ha di recente corretto il numero parlando di 8.000 morti).
(…)
Leila de Lima è il primo prigioniero politico della presidenza di Rodrigo Duterte ma non è l'unica a temere per la propria incolumità: il senatore Antonio Trillanes IV ha dichiarato di recente che “Duterte mi vuole morto”. Il proibizionismo nelle Filippine “si conferma come una potente e mortale museruola. Chi è contro la guerra alla droga è un nemico della sicurezza del popolo e, se non direttamente coinvolto o comunque coinvolgibile nel traffico, deve esser sequestrato fisicamente per zittire ogni voce critica” ha dichiarato a IBTimes Italia Marco Perduca dell'Associazione Luca Coscioni, ed ex-senatore Radicale, che partecipa proprio in questi giorni alla 60° Conferenza ONU sulle Droghe di Vienna.
(…)
In verità la guerra alla droga di Duterte, che indigna mezzo mondo, sta incrinando gli equilibri politici anche all'interno delle Filippine: alla riunione della Commissione ONU di Vienna è intervenuta anche la vice-presidente delle Filippine Leni Robredo, che ha sorprendentemente criticato le priorità del presidente Duterte in materia di guerra alla droga: “È un problema complesso che non si risolve solo con le pallottole e deve essere considerato per ciò che è veramente: un complesso problema di salute pubblica legato a povertà e disuguaglianze sociali”, ha dichiarato in un video (…) trasmesso il 13 marzo durante un incontro organizzato dall'Associazione Luca Coscioni a margine della Conferenza ONU, con il sostegno dell'Internazionale liberale e della Drug Policy Alliance, oltre che in collaborazione con la DRCNet Foundation.
(…)
Ieri (15 marzo) diversi senatori e deputati italiani hanno rilanciato un appello, #FreeLeila, lanciato proprio dall'Associazione Luca Coscioni, da Radicali Italiani e da Non C'è Pace Senza Giustizia affinché la senatrice filippina Leila de Lima venga scarcerata. Una battaglia sempre più aspra e sempre più ampia condotta dentro e fuori dell'arcipelago delle Filippine, che sopperisce oggi ciò che la comunità internazionale non riesce a fare: cercare di fermare i crimini di Duterte contro il suo stesso popolo.
Tanzania: a Dar es Salaam seminario su mutilazioni genitali femminili
OnuItalia, 23 Feb 2017
Si e’ svolto oggi a Dar es Salaam, in Tanzania, il seminario “Working to End Female Genital Mutilation”per una analisi delle sfide e i progressi realizzati dalla Tanzania sul fronte della lotta alle mutilazioni genitali femminili (Mgf), alla luce della recente conferenza di Roma “BanFGM” promossa dall’associazione “Non c’è pace senza giustizia” con il sostegno politico e finanziario del Ministero degli Esteri e dell’Agenzia per la Cooperazione (Aics).
Il seminario ha visto la partecipazione della Presidente del Parlamento tanzaniano, Tulia Ackson, e del Segretario Generale del Ministero della Sanità, rispettivamente in qualità di ospite d’onore e di moderatore del seminario, presenti rappresentanti della società civile, delle Agenzie Onu e delle istituzioni pubbliche.
Il seminario ha offerto anche l’occasione per mettere in luce l’impegno di dell’Italia a favore della salvaguardia e promozione dei diritti umani e dell’importanza fondamentale annessa dal Paese alle iniziative a tutela della donna da ogni forma di violenza e discriminazione, favorendo anche a livello internazionale azioni positive volte ad affermarne il ruolo nella società su un piano di parità di genere.
In questo senso sono stati puntati i riflettori sul ruolo guida svolto dall’Italia nella campagna per l’attuazione della Risoluzione 67/146 dell’Onu contro l’infibulazione e le mutilazioni genitali femminili e le molteplici iniziative di cooperazione che l’Italia ha avviato a sostegno della promozione del ruolo della donna, anche in Tanzania, dove la Cooperazione italiana, tra il 2009 ed il 2012, ha sostenuto delle iniziative volte a valorizzare e potenziare il ruolo sociale, politico ed economico delle donne tanzaniane. (@OnuItalia)
Cooperazione: Tanzania, a Dar es Salaam seminario su mutilazioni genitali femminili
Agenzia Nova (Nairobi), 23 Feb 2017
Si svolge oggi a Dar es Salaam, in Tanzania, il seminario “Working to end female genital mutilation”, che intende analizzare le sfide e i progressi realizzati dalla Tanzania sul fronte della lotta alle mutilazioni genitali femminili (Mgf), alla luce della recente conferenza di Roma “BanFgm” promossa dall’associazione “Non c’è pace senza giustizia” con il sostegno politico e finanziario della Farnesina e dell’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo (Aics). Il seminario, come riferisce una nota della sede Aics di Nairobi, vedrà la partecipazione della presidente del parlamento tanzaniano, Tulia Ackson, e del segretario generale del ministero della Sanità, rispettivamente in qualità di ospite d’onore e di moderatore del seminario, che vedrà inoltre la presenza di rappresentanti della società civile, delle agenzie Onu e delle istituzioni pubbliche. (segue) (Com) © Agenzia Nova - Riproduzione riservata.
Continua
South Africa: ICC withdrawal bid unconstitutional say judges
CICC News, 22 Feb 2017
On 22 February 2017, the judges of the North Gauteng (Pretoria) high court judges unanimously ruled that the South African government jumped the gun by notifying the UN of its intention to withdraw from the ICC without first obtaining parliamentary approval, and ordered President Zuma to revoke the 2016 notification.
“The absence of a (specific) provision in the Constitution for the executive to terminate any international agreement is confirmation of the fact that such power does not exist until Parliament legislates for it,” said Judge Phineas Mojapelo in delivering the unanimous judgment. He also called the withdrawal "hasty, irrational and unconstitutional." The judgment stems from an executive action by the South African government last October by which it notified the UN Secretary-General – the depositary of the Rome Statute, the ICC founding treaty – of its intention to withdraw from the ICC.
A victory for rule of law says civil society
(…)
“This is clearly a victory for the rule of law and a shining demonstration of the important role the judicial system has to play in ensuring the proper checks and balances are upheld”, said Alison Smith, No Peace Without Justice International Criminal Justice Director. “Today’s decision gives victims a reprieve and edges South Africa back to the community of nations that together have decided that might is not right; that impunity for crimes under international law is a threat and an affront to all of humanity, requiring a global justice response when national systems are unwilling or unable to investigate and prosecute; and that those who bear the greatest responsibility for atrocities need to account for their crimes irrespective of their official capacity or diplomatic status.”
(…)
“We hope today’s decision gives time for cooler heads in South Africa’s Government to prevail and decide not to present a withdrawal Bill to Parliament”, Smith added. “If that happens, however, we hope that South Africa’s Parliament will stand on the side of victims and the protection of human rights on which today’s South Africa was built. In the meanwhile, we urge all States Parties to continue to reiterate in no uncertain terms their commitment to the integrity and the principles underpinning the Rome ICC Statute and their absolute commitment to ensuring justice and redress for victims of the world’s worst crimes, wherever they may take place."
La giornata di riflessione per dire stop alla tortura delle MGF
di Giada Gramanzini, La Voce di New York, 07 Feb 2017
Il 6 febbraio ė la Giornata internazionale della tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili (MGF), istituita dalle Nazioni Unite nel 2003, in seguito al discorso tenuto dalla First Lady della Repubblica Federale di Nigeria Stella Obasanjo, durante la conferenza del Comitato interafricano sulle pratiche tradizionali che inficiano la salute di donne e bambine.
(…)
A livello globale, almeno 200 milioni di donne e bambine hanno subito una qualche forma di mutilazione genitale in 30 paesi, con una particolare concentrazione in Africa e in alcune comunità di Asia, America Latina ed Emirati Arabi. Nella maggior parte di questi territori, le ragazze vengono mutilate prima del loro quinto compleanno.
L’abolizione delle mutilazioni genitali femminili è stata richiesta da numerose organizzazioni intergovernative, tra cui l’Unione Africana, l’Unione Europea e l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, così come in tre risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Il programma congiunto UNFPA-UNICEF sulle mutilazioni genitali femminili si concentra sulla tutela di donne e bambine da pratiche di questo tipo e sulle cure di quelle sopravvissute, utilizzando un approccio partecipativo e culturalmente sensibile, fondato sui diritti umani. Fin dalla sua istituzione nel 2008, tale programma ha sostenuto nella lotta contro tali pratiche ben 17 paesi, 13 dei quali sono riusciti a creare politiche, disposizioni di legge e dotazioni di bilancio necessarie ad annientare questo male. Nel 2016, inoltre, grazie alla collaborazione con i governi, la società civile e le comunità, il programma congiunto UNFPA-UNICEF ha raggiunto importanti traguardi: le dichiarazioni pubbliche di abbandono delle MGF sono state effettuate all’interno di 2.906 comunità in ben 15 paesi e 10.080 famiglie in Egitto, per un totale di circa 8,5 milioni di persone; più di 730.000 donne hanno ricevuto protezione e servizi di assistenza tramite diversi interventi multisettoriali; i responsabili sono stati assicurati alla giustizia, vedendo l’esecuzione di 71 arresti, con 252 casi di MGF provati in tribunale e 72 condanne.
(…)
Sia sul piano politico che su quello della cooperazione allo sviluppo, il governo italiano è sempre stato attivamente impegnato su questo fronte, distinguendosi nella campagna internazionale e conquistando il ruolo di interlocutore privilegiato con i Paesi africani. L’Italia ha sostenuto, infatti, diverse azioni di contrasto al fenomeno: prima fra tutte, la campagna lanciata negli anni novanta dall’allora Commissario europeo Emma Bonino al fianco dell’organizzazione Non C’è Pace Senza Giustizia, (rilanciata nel 2010 insieme ai Radicali Italiani). Grazie a Mara Carfagna, tramite il Dipartimento per le pari opportunità, un’altra campagna per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle mutilazioni genitali femminili è stata realizzata nel 2008. Il nostro paese ha inoltre supportato la campagna europea END FGM, lanciata da Amnesty International nel settembre 2009, che appoggiava a sua volta la forte richiesta fatta dal Parlamento europeo per porre fine a questo terribile fenomeno, attraverso una risoluzione congiunta adottata il 14 giugno 2012.
"Medicalisation is one of the biggest threats against the programme to eliminate FGM", the experts said
Reuters / The Indian Express / All Africa, 07 Feb 2017
A growing trend for midwives and nurses to carry out female genital mutilation (FGM) is undermining global efforts to eradicate the internationally condemned practice, experts have warned. Morissanda Kouyate head of the Inter-African Committee on Traditional Practices called for courts to get tough on health workers convicted of carrying out FGM. He also urged professional medical and health associations to expel members who repeatedly perform FGM.
“Medicalisation is one of the biggest threats against the programme to eliminate FGM,” Kouyate told the Thomson Reuters Foundation by phone from Rome ahead of international FGM awareness day on Monday. He called for countries to revise their laws on FGM to make clear that health professionals convicted of offences should face the maximum sentences allowed under the legislation. An estimated 200 million girls and women worldwide have undergone FGM, which usually involves the partial or total removal of the female genitalia and can cause a host of serious health problems.
Speaking at a global conference on FGM in Rome last week, Kouyate said medicalisation was an unfortunate result of early efforts to tackle FGM, which had focussed on the health risks. The ancient ritual – practised in at least 27 African countries and parts of Asia and the Middle East – is usually carried out by traditional cutters, often using unsterilised blades or knives. In some cases, girls can bleed to death or die from infections. Later on, FGM can cause fatal childbirth complications.
Masooma Ranalvi: We need stringent laws to ban practice of khatna
by Gaurav Sarkar, Mid Day (India), 06 Feb 2017
It is one of our secret shames. But when the world observes International Day of Zero Tolerance for Female Genital Mutilation today, Masooma Ranalvi and her group of 50 Bohri women from across India will have it split wide open.
Ranalvi (50), a former Mumbaikar who now resides in Delhi, was the only Indian representative at the two-day BanFGM conference held in Rome last week. The conference, attended by nearly 30 countries, aimed at addressing current challenges that countries face in ending female genital mutilation (FGM).
Ranalvi tells mid-day she discussed the prevalence of the practice in India, locally known as khatna in the Bohri community. “Many didn’t believe that it happens here.” But there could have been no one better than her to convince them of it. For, she was ‘cut’ at the age of 7. “All of us were deceived into being cut. It was my grandmother who took me. The experience was horrific,” says Ranalvi, who founded Speak out on FGM comprising 50 women in 2014.
HR Groups Urge UK Foreign Secretary to Call for Nabeel Rajab's Release
Bahrain Mirror, 06 Feb 2017
More than 20 human rights figures and organizations sent letter to the British Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, Boris Johnson, urging him to call on the Kingdom of Bahrain to release Nabeel Rajab.
In the letter published on the Index on Censorship website, they stressed that "in light of recent developments in Bahrain, we write to raise our deep concern over the punitive trials of prominent human rights defender Nabeel Rajab, who is being prosecuted in three separate cases for exercising his right to freedom of expression."
"As Foreign Secretary you have re-committed your Office to counter the shrinking of civil society space and promote the work of human rights defenders. We therefore urge you to give effect to this commitment by calling for the release of Nabeel Rajab," they added.
"We strongly believe that the UK, following your and the Prime Minister's visit to Bahrain in December, and particularly now that the UK has regained a seat on the UN Human Rights Council, should review its current policy on the human rights situation in Bahrain, publicly condemn regressive measures and call for the release of Nabeel Rajab and others detained solely for peacefully exercising their right to freedom of expression such as Sheikh Ali Salman, the Secretary General of al-Wefaq National Islamic Society," the HR groups further noted.
They went on to say that "the UK's significant historical, economic, security and political ties with Bahrain incur a responsibility to acknowledge and criticise negative human rights developments within the country. The UK's voice is strongly heard in Bahrain, and we urge you to act publicly and promptly in support of Nabeel Rajab's human rights work and call for his release."
The human rights figures and organizations concluded their letter by requesting a meeting with the FCO to discuss their human rights concerns in Bahrain and Nabeel Rajab's case and hear the FCO's views on his case and what the UK government can do to uphold its commitment to reverse the shrinking civil society space in Bahrain.
The letter was signed by the following:
Americans for Democracy & Human Rights in Bahrain (ADHRB), Amnesty International UK, ARTICLE 19, Bahrain Center for Human Rights (BCHR), Bahrain Institute for Rights and Democracy (BIRD), Bahrain Youth Society for Human Rights, Canadian Journalists for Free Expression (CJFE), English PEN, European Centre For Democracy and Human Rights (ECDHR), FIDH, under the Observatory for the Protection of Human Rights Defenders, Gulf Centre for Human Rights (GCHR), Index on Censorship, Lawyer's Rights Watch Canada (LRWC), No Peace Without Justice, PEN International, Rafto Foundation, Reporters Without Borders, The Bahrain Press Association, the World Organisation Against Torture (OMCT), under the Observatory for the Protection of Human Rights Defenders; Individuals: Clive Stafford Smith (OBE), director of Reprieve, Professor Damian McCormack.
Approvata alla Camera la risoluzione sui Difensori dei Diritti Umani
Agenpress, 01 Feb 2017
La Commissione Esteri della Camera dei Deputati approva la risoluzione sui Difensori dei Diritti Umani che riprende le richieste di una rete di organizzazioni della società civile italiana per la protezione degli attivisti impegnati nella tutela dei diritti umani nel mondo. “Un importante passo in avanti”: così commenta Francesco Martone, responsabile advocacy dell’organizzazione “Un ponte per…”, l’approvazione della risoluzione sui Difensori dei Diritti Umani avvenuta oggi alla Commissione Esteri della Camera e presentata a prima firma dall’On. Marietta Tidei (PD).
“La presa di posizione del Parlamento giunge in una fase di grave acutizzazione dell’attacco alle donne a agli uomini impegnati nella difesa dei diritti umani nel mondo, e ad un mese dalle iniziative per ricordare Bertha Caceres, attivista indigena honduregna uccisa per essersi opposta ad un progetto di diga nella sua terra”, spiega Martone.
La risoluzione riflette infatti le proposte e le richieste formulate da un’ampia coalizione di oltre 20 associazioni ed organizzazioni della società civile italiana impegnate nella difesa dei diritti umani, nella tutela ambientale, per la libertà di espressione e di stampa, per il sostegno ad attivisti/e ed avvocati/e minacciati nel mondo a causa del loro lavoro. Nell’ottobre scorso la coalizione aveva inviato una prima lettera, all’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, e poi organizzato il Convegno internazionale “Difendiamoli!”, ospitato alla Camera il 28 novembre 2016, cui erano stati invitati difensori e difensore dei diritti umani da ogni parte del mondo.Tra gli obiettivi dell’iniziativa quello di fare pressione sulla Farnesina affinché si doti di strumenti di protezione degli attivisti e delle attiviste minacciate, sulla scia di quanto fatto da altri paesi dell’Unione Europea, dando così seguito agli orientamenti della stessa Ue in materia.
In seguito, dovranno essere anche messe a punto diverse modalità di concessione di visti temporanei per coloro che sentano la necessità di lasciare momentaneamente i propri paesi. La rete italiana, inoltre, sta lavorando per coinvolgere gli Enti locali nella creazione di “città rifugio”, che possano dare protezione e accoglienza temporanea. “Adesso ci aspettiamo azioni concrete, prima fra tutte l’attuazione degli orientamenti UE in maniera trasparente, attraverso l’elaborazione e la pubblicazione di linee guida per il personale diplomatico italiano, al fine di permettere un monitoraggio del loro lavoro e agli/alle attivisti/e di essere informati delle possibilità di sostegno”, prosegue Martone. “Chiediamo che l’Italia che presiederà il prossimo anno l’OSCE, organismo che ha delle linee guida eccellenti sul tema, metta la questione dei difensori e delle difensore dei diritti umani al centro dell’agenda politica internazionale”.
La coalizione italiana sui difensori dei diritti umani è composta e sostenuta da: AIDOS, Amnesty International, Associazione Antigone, Centro di Ateneo per i Diritti Umani, Università di Padova, Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili, AOI, ARCI, ARCS, Associazione Articolo 21, CGIL , Comitato Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, COSPE, Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco, Giuristi Democratici, Greenpeace Italia, Legambiente, Libera. Associazioni Nomi e Numeri contro le mafie, Non c’è Pace senza Giustizia, Operazione Colomba, Radicali Italiani, Rete per la Pace, Terra Nuova, Peace Brigades International – Italia, Progetto Endangered Lawyers/Avvocati Minacciati, Unione Camere Penali Italiane, Un ponte per…
FGM: Bonino, from Italy a message of inclusion and dialogue, education and respect
(by Valentina Bianco, OnuItalia, 31 Jan 2017
“Tackling the issue of female genital mutilation is not about imparting lessons to one another but rather, about a process. Differences must not undermine us, nor should we allow stereotypes to divide us”. This is the message Emma Bonino reiterates in her address at the Conference on the worldwide ban of female genital mutilation (FGM) that is taking place today and tomorrow at the Italian Ministry of Foreign Affairs, organized by the NGO “No Peace without Justice” (NPWJ), the Inter-African Committee (IAC) and their partners, in collaboration with the Italian Ministry of Foreign Affairs and the Italian Agency for Cooperation and Development.
Bonino, a long time politician who served in numerous capacities, including the post of Minister of Foreign Affairs, founded NPWJ in 1993 and has always shown unyielding commitment to humanitarian issues and women’s rights. She explains that the eradication of FGM “is not a vision that rich countries wish to impose on poor ones, but there are clear-cut boundaries that cannot be crossed. We have the utmost respect for other cultures but we must defeat practices that are blatantly harmful”.
Mutilazioni genitali, 140 mln di vittime. Cooperazione in prima linea contro fenomeno
di Francesco Cosentino, Il Velino, 31 Jan 2017
“Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, 140 mln tra donne e bambine hanno subito qualche forma di mutilazione: è un numero inaccettabilmente alto destinato a crescere di 3 milioni all’anno”. Questo l’allarme lanciato da Pietro Sebastiani, Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo, nel corso della sessione conclusiva della conferenza “Worldwide Ban on Female Genital Mutilation”, organizzata alla Farnesina dall’Ong “Non c’è pace senza giustizia”, in collaborazione con il ministero degli Affari Esteri e con l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Presenti, tra gli altri, l’ex ministro degli Esteri Emma Bonino, Morissanda Kouyaté, Direttore esecutivo del Comitato Inter-Africano sulle Pratiche Tradizionali, Luca Giansanti, Direttore Generale Affari Politici e di Sicurezza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. “La Cooperazione italiana – ha aggiunto Sebastiani – ha sempre sostenuto gli sforzi della comunità internazionale contro questa pratica odiosa. Nel 2016 sono stati stanziati 2 milioni di euro per l’Unfpa/Unicef”. L’Italia, ha sottolineato, “è in prima linea in Senegal, Burkina Faso, Niger ed Etiopia” con programmi a sostegno delle vittime e per il loro empowerment. In quest’ottica l’Italia, in occasione del Global Leader Meeting on Gender Equality del settembre 2015, ha stanziato 50 mln per il biennio 2016/2017 proprio per l’empowerment delle donne”. Si tratta, ha concluso Sebastiani, “di un obiettivo ambizioso ma raggiungibile”.
Le mutilazioni genitali femminili, "un male universale »
Askanews / AI TV, 30 Jan 2017
La violenza sulle donne è "un male che ci affligge su scala universale" e occorre dunque riunire le forze per superare le logiche che considerano ordinari certi comportamenti - come la pratica delle mutilazioni genitali femminili - solo perché radicati nella società e nella cultura locale. Alla Farnesina, che ha ospitato la Conferenza per la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili, promossa in collaborazione con "Non c'è pace senza giustizia", sono tutti concordi: si tratta di una "pratica nefasta".L'ex ministro degli Esteri Emma Bonino, da sempre impegnata per i diritti delle donne e contro questa terribile forma di violenza: "Ci sono settori e campi in cui la determinazione di alcuni paesi è continua e può fare, a medio termine, la differenza. Uno di questi temi è la promozione dei diritti delle donne, non intese come minoranza da tutelare ma come una maggioranza protagonista di un cambiamento".Su questi temi - secondo il pensiero comune ai partecipanti - nessuno dà lezione ad altri, perché si tratta di "un processo che a volte va avanti, altre volte torna indietro". E non bisogna farsi dividere dallo stereotipo che questa è la visione che il mondo ricco impone al mondo in via di sviluppo. "Impedire il matrimonio di una bambina di nove anni, non è divisione Nord-Sud, è solo una tutela della persona", ha avvertito la leader radicale. Non si tratta di tradizioni o di culture, ma di "pratiche nefaste che occorre superare, perché ci sono limiti molto chiari a cui non bisogna venir meno".Insomma, è fondamentale lavorare su "aspetti di natura culturale e sociale", hanno concordato il sottosegretario Benedetto della Vedova e il segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni. C'è la necessità di guardare il problema in una prospettiva più ampia. Le donne possono fare la differenza migliorando la loro condizione, quella delle loro famiglie, del tessuto economico e del contesto sociale a cui appartengono". D'altra parte, ha commentato Elisabetta Belloni, è "sempre più evidente l'esigenza di operare nel settore dell'educazione, sulla consapevolezza che le donne per prime devono avere del diritto della libertà di scelta, dei diritti umani da applicare".
FGM: Italy, “political will of governments is crucial
By Alessandra Baldini, OnuItalia, 30 Jan 2017
“Political will of governments is crucial” in eradicating all forms of violence against women, and specifically the practice of female genital mutilation, said the Secretary General of the Italian Minister of Foreign Affairs, Elisabetta Belloni, in her address at the Conference on the worldwide ban of female genital mutilation (FGM) that is taking place today and tomorrow at the Italian Ministry of Foreign Affairs, organized by the NGO “No Peace without Justice” (NPWJ), the Inter-African Committee (IAC) and their partners, in collaboration with the Italian Ministry of Foreign Affairs and the Italian Agency for Cooperation and Development.
Les grandes leçons de la campagne contre les mutilations génitales
Emma Bonino, Le Soir, 30 Jan 2017
Des décennies de campagne pour défendre les droits des personnes les plus vulnérables et les plus défavorisées m’ont appris deux choses. La première est que le fondement de la plupart des violations des droits humains réside dans la négation de la liberté de choix personnel, et cela est d’autant plus vrai en ce qui concerne les droits fondamentaux des femmes et des filles. Les traditions, particularités culturelles et autres us et coutumes ne sont qu’un ensemble de prétextes disparates, dont certains se servent comme alibi pour continuer impunément à maintenir d’autres êtres humains en état de soumission. Les droits de l’homme sont universels et non négociables, et nous ne pouvons pas transiger d’un iota sur le respect de ce principe intangible. En d’autres termes, nous ne pouvons pas accepter que le fait de voler l’enfance d’une fille de sept ans, en la forçant à se marier avec un homme adulte et à subir une relation sexuelle, soit justifié au nom de la diversité culturelle, sous peine de devenir complice de ses bourreaux. Tout comme nous ne pouvons pas accepter qu’il y ait des endroits dans ce monde où le viol conjugal n’est pas puni par la loi, car il est considéré comme une expression du droit légitime d’exiger la satisfaction sexuelle de la part de son conjoint. Toute circonstance où la contrainte prévaut sur le libre choix constitue une violation intolérable de l’autodétermination individuelle, et doit être combattue en tant que telle.
La deuxième leçon que j’ai tirée concerne la relation entre le pouvoir politique et les citoyens. Eclaircissons d’emblée un fait : le pouvoir en soi n’est ni bon ni mauvais, mais son usage dévoyé peut causer des dégâts aussi conséquents que les avantages générés par son usage responsable. Prenons comme exemple la lutte contre les mutilations génitales féminines (MGF), une violation des droits humains qui touche la vie de près de deux cents millions de femmes et de filles dans le monde. Sans une interaction directe entre les militants qui luttent depuis plus de trente ans contre cette violence et les représentants institutionnels, nous n’aurions pas pu célébrer, il y a quatre ans, l’étape historique de la résolution des Nations Unies qui interdit universellement les MGF et enjoint tous les Etats à se doter de lois explicites à cet effet. Pour parvenir à ce résultat, nous avons pu compter sur la contribution cruciale tant des activistes africaines qui sont devenues en quelque sorte le visage de la campagne BanFGM, à l’instar de Khady Koita et de Nice Nailantei Leng’ete, que de personnalités comme Chantal Compaoré ainsi que l’actuelle Première dame du Burkina Faso, Sika Kaboré.
La volonté politique des gouvernements est donc fondamentale, et lorsqu’elle est absente le désir de changement demeure malheureusement circonscrit au règne des bonnes intentions. Pour que cette volonté politique parvienne à maturité, il faut cependant que les gouvernements écoutent leurs propres citoyens, les reconnaissent comme interlocuteurs et porteurs de besoins et d’exigences dont la res publica doit s’occuper avant toute autre chose. Multiplier les initiatives pour aider à créer des occasions de dialogue est donc crucial et cela a été le cœur de la méthode, innovante, qui a marqué deux décennies d’engagement de No Peace Without Justice. C’est sous cette même enseigne que, sur notre initiative et avec le soutien du gouvernement italien, les principaux protagonistes de la campagne BanFGM – ministres, parlementaires et activistes des pays où les MGF sont pratiquées, et les représentants d’organisations internationales – se réuniront la semaine prochaine à Rome pour définir conjointement de nouveaux objectifs de lutte et une stratégie d’action pour les réaliser.
Farnesina, conferenza sulla lotta alle mutilazioni genitali femminili
di Francesco Cosentino, Il Velino, 30 Jan 2017
È necessario superare “quelle logiche che considerano certi comportamenti come ordinari perché radicati nella società e nella cultura locale”. È necessario “muoversi secondo schemi improntati al dialogo, all’inclusività e alla responsabilizzazione delle comunità locali”. Lo ha detto il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, nel corso della conferenza “Worldwide Ban on Female Genital Mutilation”, organizzata alla Farnesina dall’ong “Non c’è pace senza giustizia”, in collaborazione con il ministero degli Esteri e con l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Presenti anche Elisabetta Belloni, Segretario Generale della Farnesina, Emma Bonino, fondatrice di “Non c’è pace senza giustizia”, Sika Kaboré, First Lady del Burkina Faso, e Lalla Malika Issoufou, First Lady del Niger. Proprio Issoufou, parlando dell’esperienza del Niger, ha sottolineato che il suo governo “vuole giungere alla tolleranza zero verso le mutilazioni genitali femminili”, rimarcando le “diverse iniziative prese” e sottolineando come “la percentuale sia in diminuzione, anche se ancora ci sono disparità etniche e regionali”. Issoufou ha infine ringraziato l’Italia per aver organizzato questa conferenza ma anche per “l’impegno in Niger”. Un impegno testimoniato anche dalla prossima apertura di due ambasciate, una nella capitale nigerina Niamey e l’altra nella capitale della Guinea, Conakry, come confermato nel corso della conferenza sia da Della Vedova che dalla Belloni. “La difesa dei diritti delle persone – ha sottolineato Bonino nel corso del suo intervento – sarà sempre un elemento importante e positivo. Le donne non sono una minoranza da proteggere ma protagoniste attive dei cambiamenti”.
First ladies vow to fight 'barbaric' genital mutilation in West Africa
Emma Batha, Rome, Thomson Reuters Foundation, 30 Jan 2017
The first ladies of Niger, Burkina Faso and Benin promised on Monday to "end the scourge of female genital mutilation" (FGM) in their countries amid warnings the practice had gone underground in Benin. "FGM is a barbaric practice," Niger's Lalla Malika Issoufou told an international conference on FGM in Rome.
She said Niger's president, Mahamadou Issoufou, was fully behind efforts to eradicate the ritual and that the country was looking at bolstering its law. Worldwide, an estimated 200 million girls and women have been subjected to the ancient ritual which usually involves the partial or total removal of the external genitalia. It is often carried out by traditional cutters.
The internationally condemned practice is rooted in the wish to control female sexuality, but beliefs around it vary. Some communities see it as a prerequisite for marriage.
Il peso della tradizione sopravvive alle norme contro le mutilazioni genitali
Vichi De Marchi, L'Huffington Post, 30 Jan 2017
Celina, un'insegnante kenyota, teme l'inizio del nuovo anno scolastico. Sa che molte delle sue studentesse di 11 e 12 anni non si presenteranno. Durante le vacanze estive i loro genitali sono stati mutilati. Per loro non ci sarà più la scuola. Ben presto le attenderà un matrimonio imposto dalla famiglia. Zeinab Hassan vive, invece, in Somaliland. La sua "mutilazione" è avvenuta quando aveva appena sei anni. "È stato terribile. Ancora ricordo il rumore del coltello", dice. Ora, ormai madre di tre figli, è attivista di Action Aid e da anni si batte contro le mutilazioni genitali femminili che, anche se formalmente vietate in moltissimi paesi e da una risoluzione (storica) delle Nazioni Unite, adottata nel 2012 (e ribadita nel 2014 e 2016), restano una pratica diffusa.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che siano 200 milioni le donne e le ragazze che hanno subito mutilazioni genitali. Di queste, 44 milioni non hanno ancora compiuto 15 anni.
La loro autonomia è spezzata così come il loro diritto all'autoderminazione, alla sessualità, a immaginare un proprio futuro. È "il prezzo della sposa", della sua verginità e affidabilità. Poco importa che per molte donne tutto questo abbia un prezzo anche in termine di salute, di rischio per la vita, quando per esempio mettono al mondo un figlio. Il peso della tradizione e di antiche convinzioni sopravvive anche alle norme che vietano le mutilazioni sessuali. Perché, a esercitare il controllo sul corpo della donna non vi è solo la famiglia ma un'intera comunità con le sue regole sociali difficili da spezzare, pena l'esclusione. Succede in molti paesi, non solo in Africa, anche se qui la pratica è più diffusa che altrove. Resiste, per esempio, con tenacia in Egitto, Eritrea, Mali, Somalia. Lambisce le nostre città. Alcuni casi, infatti, sono stati segnalati anche in Europa, in America del Nord e in Australia anche se ogni statistica è arbitraria, essendo un fenomeno che vive nella totale illegalità. A volte sono le vacanze scolastiche il momento più a rischio per le giovanissime immigrate con la famiglia che decide il ritorno al paese d'origine quando è giunto il tempo di farle "mutilare".
A lanciare l'allarme è la ONG "Non c'è pace senza giustizia" - da anni attiva contro le mutilazioni genitali femminili - che, oggi e domani, alla Farnesina, discuterà di leggi, di tutela dei diritti umani, di empowerment delle donne, a partire dalla adolescenti, chiamando a un confronto le protagoniste (del Nord e del Sud del mondo) della battaglia per l'eliminazione totale delle mutilazioni genitali femminili.
Mutilazioni genitali femminili: "Fermiamole entro il 2030"
Repubblica, 25 Jan 2017
Nice Nailantei Leng'ete – ambasciatrice contro le mutilazioni genitali femminili e operatrice di Amref – torna in Italia per raccontare il suo lavoro in Africa. L'obiettivo è mettere al bando la pratica del taglio entro il 2030, come stabilito dalle Nazioni Unite. Diversi gli eventi e gli incontri a cui parteciperà, tra cui quelli con l'ex ministro degli Esteri, Emma Bonino e della presidente della Camera, Laura Boldrini. Nel 2015 il mondo si è posto dei nuovi obiettivi da raggiungere entro il 2030 per garantire il cosiddetto “sviluppo sostenibile”. Tra questi traguardi vi sono la garanzia della parità di genere e la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili. Nice Nailantei Len’gete tutti i giorni traduce sul campo gli obiettivi che si sono dati i grandi della Terra. Lo fa nelle comunità africane in cui lavora, dove dal 2012 ha contribuito a salvare oltre 10.500 bambine dalla mutilazione genitale femminile.
Impegno mondiale. Già nel 2012 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite emanò una risoluzione finalizzata all’eliminazione di queste pratiche. Negli anni sono stati compiuti vari progressi su questo fronte e oggi 24 dei 29 Paesi dove si concentrano maggiormente le mutilazioni hanno promulgato una normativa contro questa pratica.
Ridurre il gap. L’applicazione delle norme, tuttavia, non è sempre immediata, specialmente se il contesto è quello di comunità rurali remote e tradizionaliste. In Kenya e al confine con la Tanzania, Nice lavora per ridurre questo gap. Grazie al suo impegno e ai progetti proposti da Amref, si diffondono sempre di più i Riti di Passaggio Alternativi, frutto di un approccio utilizza attività di sensibilizzazione e formazione rivolte a tutti gli attori chiave delle comunità (inclusi anziani e giovani guerrieri Moran) per contrastare la pratica del taglio.
Chi è Nice. Giovane donna kenyota, dopo essere rimasta orfana, Nice è sfuggita a soli 9 anni al taglio, opponendosi con caparbietà alla volontà della sua famiglia. Da allora il suo impegno per mettere fine a questa pratica dannosa e violenta non si è mai arrestato. L’incontro con Amref Health Africa le ha permesso di ricevere la formazione teorica e tecnica di cui aveva bisogno per attivarsi in modo ancora più incisivo all’interno della sua comunità. Negli anni, il percorso di Nice si è arricchito di successi personali e professionali tanto dall’aver avuto occasione di incontrare alcuni tra i personaggi più illustri del XXI secolo, come Bill Clinton e - di recente - Barack Obama.
Gli appuntamenti. A giorni Nice tornerà ancora una volta in Italia- a Roma - per portare la sua testimonianza di impegno nella lotta alle mutilazioni genitali. Tra il 30 gennaio e il primo febbraio parteciperà alla conferenza “BanFGM” sulla messa al bando universale delle Mutilazioni Genitali Femminili. La conferenza è organizzata dall’associazione di “Non C’è Pace Senza Giustizia” – fondata dalla già Ministro degli Esteri Emma Bonino - e il Comitato Inter-Africano sulle Pratiche Tradizionali Nocive per la Salute di Donne e Bambini, in partenariato, tra gli altri, con Amref. Nella giornata del 26 gennaio, inoltre, Nice racconterà la sua battaglia contro il taglio e la promozione dell’istruzione femminile presso l’Università degli studi Link Campus University, in un incontro sul genere dei Ted Talk e avrà occasione di ricevuta dalla Presidente della Camera Laura Boldrini, in un incontro ristretto.
I 60 anni di Amref. La visita di Nice si inserisce nell’ambito delle celebrazioni per i 60 anni attività di Amref Health Africa e della correlata campagna permanente “Per noi non
Sei Zero”. Apre inoltre la strada alla prossima Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili, il 6 febbraio, in occasione della quale Amref lancerà la prima pillola video di racconti dall’Africa. Narratore di eccezione, lo storico testimonial e amico Giobbe Covatta.
Des acteurs prônent la "dénonciation positive’’ pour l’abandon des mutilations génitales féminines
Agence de Presse Sénégalaise (APS), 21 Dec 2016
Dakar – Des acteurs étatiques et de la société civile ainsi que des autorités judiciaires ont insisté, mardi à Dakar, sur la nécessité d’encourager la dénonciation ‘’positive’’ pour mettre fin aux mutilations génitales féminines (MGF) qui constituent une atteinte aux droits des filles et des femmes.
Ces différents acteurs étaient réunis autour d’un atelier de mise en œuvre de la Résolution A/RES/69/150 des Nations unies sur l’intensification de l’action mondiale visant à éliminer les MGF, organisé par le Comité sénégalais sur les pratiques traditionnelles néfastes à la santé de la mère et de l’enfant (COSEPRAT) et l’association ‘’La Palabre’’.
Lors de cette rencontre, ils ont mis l’accent sur l’importance du partage de l’information en vue de faire appliquer la loi.
Le Sénégal a adopté la loi 99-05 du 29 janvier 1999 interdisant l’excision, laquelle peine à être appliquée jusqu’ici. En effet, seuls huit cas ont été jugés à Kolda (sud) entre 1999 et 2016, ont déploré les participants.
Du fait du poids de la culture et des traditions enracinées dans le vécu et les comportements de certaines communautés, les pratiques néfastes persistent encore malgré les nombreux efforts consentis par l’Etat et la société civile. Ce qui fait que parler des MGF devient presque tabou.
‘’Je n’ai jamais été confronté à ce cas depuis plus de 16 ans de carrière’’, a témoigné le juge Ibrahima Ndoye, estimant que la seule et principale difficulté à l’application de la loi, c’est le problème de l’information. Pour lui, le problème ne vient pas du fait que les autorités judiciaires ne veulent rien faire mais plutôt du fait qu’elles ne sont pas saisies. Il invite l’ensemble des intervenants à un partage des informations pour faire face au déficit de la communication.
Son collègue Abdoulaye Ba plaide pour sa part pour l’adoption des propositions de réforme visant à criminaliser la non dénonciation des actes de violences sur mineur ou sur toute autre personne. ‘’Nous devons étudier les stratégies pour encourager la dénonciation positive pour permettre aux autorités judiciaires d’avoir les informations et d’intervenir à temps’’, a-t-il préconisé.
Du côté de la gendarmerie, les commandants de zone impliqués dressent eux aussi le même constat. Selon eux, les gens ne veulent pas parler, car craignant de se mettre à dos leur famille et leurs parents. Ils souhaitent du coup un échange d’informations plus régulier entre les Ong sur le terrain et leurs services.
La sensibilisation peut elle aussi être un excellent moyen de prévention contre les MGF, estime le procureur de Kolda, Moussa Yoro Diallo, qui n’hésite pas à descendre sur le terrain pour discuter, échanger avec les populations, et en particulier avec les jeunes, sur les méfaits de telles pratiques.
‘’On est plus informé des actes préparatoires et non d’actes réels d’excision. Nous stoppons le processus et quand ce sont des cas avérés, ils sont sévèrement réprimés’’, a-t-il dit. Il indique que le phénomène est en nette régression, du fait de la sensibilisation et de l’implication des jeunes, surtout des filles dans les écoles.
La directrice de cabinet du ministère de la Femme, de la Famille et de l’Enfance, Oumou Khaïry Niang, a rappelé l’importance de travailler en synergie au niveau national et sous-régional pour élaborer des axes de convergence et des stratégies de communication en vue de mieux faire face à ces violences et violations des droits humains.