Emma Bonino: «Le torture di Assad che Roma non vuole vedere»

Emma Bonino: «Le torture di Assad che Roma non vuole vedere»
di Lorenzo Cremonesi, nostro inviato a Gaziantep, Corriere della Sera, 11 Feb 2016


L’esponente radicale al confine turco-siriano: perché Camera e Senato non espongono quelle foto? Sono 53mila immagini che documentano gli orrori del regime di Damasco.
GAZIANTEP (Turchia) Quando hai il corpo impegnato nella lotta contro il tumore, come è il caso di Emma Bonino per sua stessa ammissione, dopo mesi e mesi di chemio nell’altalenarsi di crisi e speranze, ogni viaggio, ogni incontro, ogni discorso, diventano estremamente affaticanti. Il fisico si rifiuta, ci sono vertigini, un grande sonno, l’affievolirsi dei sensi. Anche soltanto leggere un breve documento può trasformarsi in una missione impossibile. Eppure, ieri mattina Emma appariva più combattiva che mai nel cercare di capire la situazione dei disperati che fuggono verso la Turchia dai bombardamenti in Siria. Capire e denunciare. «Possibile che noi europei si faccia così poco? Qui si sta consumando una tragedia terrificante», ci ha detto con la parlantina di sempre nella lobby del suo hotel con la valigia in mano. Un foulard discretamente avvolto sul capo a nascondere gli effetti collaterali delle cure. Gli occhi luccicanti di passione, dietro le lenti spesse. Più spesse di pochi mesi fa? O è forse un’impressione?
Posizione incomprensibile
Emma Bonino non le manda a dire. Hanno fatto molto rumore, dalla Turchia, le parole pronunciate in veste di membro della delegazione dell’European Council e di attivista-fondatrice dell’organizzazione non governativa «Non c’è Pace Senza Giustizia». «Da mesi vorremmo portare anche a Roma la ben nota sequenza di foto della cosiddetta Esposizione Caesar, che testimonia le terribili torture commesse in modo sistematico dal regime di Bashar Assad contro i detenuti in carcere. Ma sia il Senato che la Camera l’hanno rifiutata, vuoi per motivi di opportunità politica, vuoi perché considerate troppo crude», spiega. Emma ha uno scatto. «Mi sembra una posizione incomprensibile. E’ dal 2013 che quelle oltre 53.000 immagini che documentano le sofferenze di quasi 7.000 prigionieri fanno il giro del mondo. Sono state nei corridoi delle Nazioni Unite, nelle maggiori università americane e inglesi, al parlamento di Londra, a Bruxelles. Come è concepibile che invece noi italiani le si abbia rifiutate? Per Laura Boldrini non possono essere esposte alla Camera, offendono le nostre sensibilità. Ma sono vere, sono lo specchio di eventi reali. Se andiamo avanti a edulcorare i fatti in questo modo finiremo per creare nuove generazioni incapaci di confrontarsi con la durezza dell’universo che ci circonda».
Scuole e ospedali nel mirino
Il tema è indubbiamente all’ordine del giorno. «Gli osservatori che lavorano in Siria, e riportano anche alla nostra organizzazione, raccontano degli effetti terrificanti dei bombardamenti russi sulla popolazione civile. Ci sono voci di massacri da parte delle truppe lealiste e delle milizie sciite>, continua l’esponente radicale. Le fanno eco i rappresentanti della sua organizzazione qui a Gaziantep. «Abbiamo testimonianze di scuole, cliniche e ospedali colpiti in modo ripetuto a nord di Aleppo. Nella cittadina di Azaz in meno di 24 ore sono stati presi di mira almeno cinque ospedali. I profughi scappano nel timore di massacri da parte dei fedelissimi di Bashar.
Un fenomeno nuovo vede molti civili delle zone sunnite dove prima operavano le milizie ribelli che, di fronte alla chiusura dei confini turchi, scelgono di scappare nelle zone controllate da Isis, piuttosto che subire le vendette delle squadracce legate al regime di Damasco», sostiene Rami Nakhla, esponente locale di «Non c’è Pace Senza Giustizia». Incontrando ad Ankara il premier Ahmet Davutoglu, la delegazione europea si è sentita ripetere le ragioni del permanere della chiusura della frontiera, che comunque per le autorità turche resta «formalmente aperta». Dal confine con la Siria non lontano da Gaziantep gli aiuti umanitari affluiscono al campo di tende approntato a pochi metri dal filo spinato, in territorio siriano. E i casi di feriti più gravi hanno accesso agli ospedali turchi. Ma resta il timore che l’esodo sia solo agli inizi.

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