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aprile 2016
Direttore resp.: Nicola Giovannini
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 Notizie

Consultazione Ministeriale Sub-Regionale in Senegal per promuovere una effettiva implementazione della risoluzione ONU sulla messa al bando universale delle MGF
 

Il 26 e 27 Aprile 2016, Il Ministero della Donna, della Famiglia e dell’Infanzia del Senegal insieme a Non C’è Pace Senza Giustizia e in partenariato con il Comitato Inter-Africano per le Pratiche Tradizionali che Incidono sulla Salute delle Donne e dei Bambini (CI-AF) e le associazioni locali COSEPRAT e La Palabre, hanno convocato una Consultazione Ministeriale Sub-Regionale a Dakar, Senegal con l’intento di promuovere l’implementazione della Risoluzione 69/150  dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite  (AGNU) che chiede un divieto mondiale delle mutilazioni genitali femminili.
 
La Consultazione Ministeriale, tenutasi sotto l'alto patrocinio del Ministero delle Donne, della Famiglia e dell’Infanzia del Senegal, è stata organizzata con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale italiana. I partecipanti includevano ministri e rappresentanti governativi di alto livelloparlamentari e attivisti della società civile provenienti dal Senegal e da altri 14 paesi (Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Sierra Leone, Togo), così come i rappresentanti delle agenzie delle Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali e missioni diplomatiche.
 
La conferenza si è conclusa con l’adozione di una Dichiarazione Finale richiedendo di ''riconoscere e promuovere il ruolo fondamentale della legge e di altri quadri normativi nell’attuazione del divieto delle MGF attraverso la proibizione e lacriminalizzazione di questa violazione dei diritti umani”. Come indicato nella dichiarazione finale, occorre garantire che il divieto delle MGF si rifletta in tutti i settori ea tutti i livelli, compresi i codici di condotta professionali, le norme in materia di di istruzione, la formazione continua e la valutazione professionale. Il documento osserva che questo dovrebbe massimizzare il potenziale del divieto della pratica, al fine di garantire una risposta coordinata e globale alle esigenze delle vittime. Le autorità nazionali dovrebbero anche assicurare la fornitura di servizi integrati e adequati per rispondere ai bisogni delle vittime, sia in campo medico e psicosociale che giudiziario.
 
Inoltre, i partecipanti hanno sottolineato la necessità di assicurare stanziamenti di bilancio sufficienti a livello locale, nazionale, subregionale, regionale e internazionale, per attuare il divieto delle MGF in tutti i suoi aspetti, ivi compresi la prevenzione, la risposta e l’evaluazione. Infine, la dichiarazione esorta all'istituzione di un meccanismo di coordinamento e di condivisione di informazioni tra i governi, i parlamenti e la società civile della sub-regione, al fine di armonizzare le legislazioni, i quadri normativi e le politiche nazionali, per prevenire e consentire la valutazione delle pratiche transfrontaliere in materia di MGF.
 
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Crimini di Guerra in Bangladesh: NPSG chiede l’abolizione della pena di morte e il pieno rispetto delle garanzie del giusto processo
 

Non c’è Pace senza Giustizia (NPSG) e il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito (PRNTT) sono profondamente preoccupati per le ultime condanne a morte pronunciate nei confronti di due dirigenti chiave del Jamat-e-Islami da parte del Tribunale pensale internazionale del Bangladesh. Continuiamo a deplorare che, come in precedenti processi antecedenti al TPI, i procedimenti giudiziari che hanno portato a questi verdetti sono stati segnati da gravi violazioni dei diritti del giusto processo e degli standard internazionali dell’equo processo. Tra le principali violazioni vi sono l’evidente disuguaglianza di armi tra la difesa e l’accusa, le pressioni intollerabili da parte del pubblico ministero nei confronti dei testimoni, e una relativa mancanza di prove a sostegno delle accuse e delle responsabilità penali individuali di entrambi i detenuti (anche durante gli appelli antecedenti alla Corte suprema del Bangladesh).
 
Questi ultimi giudizi confermano ulteriormente l’incapacità e la riluttanza del Tribunale penale internazionale (TPI) e del sistema giudiziario del Bangladesh, in generale nell’applicare gli standard internazionali che garantiscono di sottoporre i crimini alla legge internazionale e di rendere credibile e legittima la responsabilità per atrocità di massa commesse durante il conflitto del 1971, dal quale il Bangladesh è emerso traumaticamente come uno Stato indipendente. Esortiamo il governo del Bangladesh ad istituire una moratoria immediata sulla pena di morte emessa nei confronti del sig. Nizami e del sig. Quasem Ali come di altri condannati dal TPI e di attuare la promessa fatta di una vera giustizia per le vittime, fatta al momento della ratifica dello statuto di Roma della Corte Penale Internazionale cinque anni fa. Ci aspettiamo inoltre che la Comunità internazionale adotti concrete misure in grado di garantire che il Bangladesh si confermi ai diritti umani internazionali e agli altri doveri del trattato.
 
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L’annullamento delle accuse a carico di Ruto e Sang segnalano un immediato bisogno di revisionare i meccanismi di investigazioni e di protezione dei testimoni della Corte Penale Internazionale
 

Il 5 Aprile 2016, la camera di primo grado V(A) della Corte Penale Internazionale (CPI) ha deciso a maggioranza, solo il giudice Olga Herrera Carbuccia ha dissentito, di liberare dalle accuse e terminare il caso contro il Vice Presidente Keniano William Ruto e l’ex speaker radiofonico Arap Sang. Questa decisione è chiaramente una grave battuta d'arresto nel processo di assicurare un risarcimento per le centinaia di migliaia di vittime Keniane e nel tentativo di garantire alla popolazione che i giorni di violenza da parte del potere politico in Kenya, sono finiti. Avendo lavorato per molto tempo a stretto contatto con la Commissione Nazionale sui Diritti Umani Keniana sulla raccolta di informazioni fin dai primi mesi del 2008, siamo chiaramente delusi.  Ma questo non è niente in confronto a come si devono sentire le vittime dei crimini.
 
Come evidenziato dalla sentenza dei giudici della CPI, i preoccupanti episodi di sistematica interferenza nei confronti dei testimoni (anche attraverso la corruzione e l’intimidazione), e l’intollerabile ingerenza politica sono i fattori chiavi che hanno portato alla decisione di ieri. È impossibile sapere se le prove del Procuratore, in circostanze meno ostili, sarebbero state sufficienti a sostenere le accuse. Tuttavia, annullandole, almeno una porta è stata lasciata aperta per azioni penali future sia alla Corte Internazionale sia ai Tribunali Nazionali. La possibilità di ottenere giustizia è ancora là; la liberazione da queste accuse in questo momento, non ha né spogliato la CPI delle sue competenza, né ha soppresso la possibilità che le imputazioni possano essere mosse contro coloro che furono inizialmente accusati della commissione dei reati durante le violenze post-elettorali nel 2007-8.
 
Occorre fare di più per evitare che questo si verifichi in futuro. La decisione presa dai giudici della CPI ha ulteriormente dimostrato che la corte era impreparata ad affrontare adeguatamente le sfide incontrate nelle sue indagini in Kenya, soprattutto quando sono coinvolte persone politicamente potenti, e il dibattito sull'ambiente politico mette in evidenza la necessità di un più forte sostegno alla CPI da parte dei suoi Stati Membri e non solo.
 
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Alison Smith è Consigliere Legale e Direttore del Programma di Giustizia Penale Internazionale di NPSG

 Eventi

SALAM e NPSG convocano una conferenza su settarismo politico e discriminazioni contro gli sciiti in Bahrain
 

Come parte dei loro sforzi per promuovere e proteggere i diritti umani e la democrazia nel Medio Oriente e in particolare in Bahrain, l’organbizzazione  SALAM for Democracy and Human Rights, in collaborazione con Non c'è Pace Senza Giustizia, ha organizzato una conferenza di due giorni sul tema del settarismo politico e delle discriminazioni contro la comunità sciita in Bahrain, tenutasi il 22-23 aprile 2016 presso il Brussels Press Club Europa. La conferenza, che ha riunito rappresentanti di ONG, difensori dei diritti umani, ricercatori e leader religiosi, mirava a mettere in risalto gli ostacoli alla promozione e alla tutela dei diritti dei sciiti in Bahrein, e di esplorare soluzioni creative e pratiche che possano contribuire efficacemente all'eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione nei loro confronti.
 

Come evidenziato da Nicola Giovannini (NPSG) nel suo discorso di apertura: "l’uso del settarismo come strumento politico adottato dal regime Bahreinita serve a delegittimare autentiche rivendicazioni popolari di riforme, come guidate da interessi particolari o settari (e quindi negare la loro portata nazionale). Questa strategia del divide et impera si è anche tradotta con pratiche e politiche discriminatorie nei confronti della comunità sciita, che compone la maggior parte della popolazione. Uno Stato che vuole essere considerato democratico non può basarsi su tale sistema che alimenta la divisione settaria. Lo scopo di questa conferenza è quello di promuovere riforme significative volte ad assicurare che tutti i bahreiniti, indipendentemente dalla loro fede o comunità di appartenenza religiosa, siano considerati e si considerino prima di tutto come cittadini di uno stato, uguali in diritti di fronte alla legge e con pari voce nelle questioni relative alla governance della vita pubblica".

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Raccomandazioni della Società Civile Siriana sulla lotta contro l'impunità, sulla Violenza Sessuale e di Genere e sui Diritti delle Donne e dei Bambini
 

Lunedì 28 Marzo 2016, una tavola rotonda con associazioni della Società Civile Siriana, organizzata da Non C’è Pace Senza Giustizia (NPSG) dal 26 al 28 Marzo, si è conclusa con un evento pubblico a Gaziantep dove i partecipanti hanno presentato le loro raccomandazioni alla Coalizione dell'Opposizione Siriana (COS). Una volta ricevuto formalmente le raccomandazioni dai rappresentanti della COS, vi è stata una discussione su di esse e sulle questioni sollevate durante la tavola rotonda dai partecipanti e dai presenti durante l’evento pubblico.
 
La tavola rotonda è stata organizzata a seguito di un workshop presentato da NPSG a Febbraio sulla promozione della responsabilità attraverso i Meccanismi delle Nazioni Unite, con una particolare attenzione alla violenza sessuale e di genere e a coloro che più hanno subito e continuano a subire le conseguenze della guerra, ovvero, donne e bambini. NPSG ha lavorato con sei rappresentanti della Società Civile Siriana per presentare le loro esperienze e raccomandazioni ad un gruppo più ampio della Società Civile, il quale ha discusso, definito e finalizzato le raccomandazioni attraverso un processo partecipativo.
 
Le raccomandazioni emerse sono state indirizzate a coloro che sono coinvolti nelle negoziazioni e nel processo costituzionale ed altri attori fondamentali. Queste si riferiscono alle azioni che devono essere intraprese adesso ma anche durante e dopo il processo di transizione e chiedono un coinvolgimento di tutti i settori della Società Siriana.
 
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