Siria: giustizia e una pace duratura non devono essere barattate in cambio di soluzioni a breve termine

Gianluca Eramo*, Bruxelles, 5 aprile 2017

L'attacco chimico che il ieri ha colpito la cittadina siriana di Khan Sheikun, provocando la morte di decine di siriani tra cui 20 bambini, è solo l'ultimo episodio di un conflitto crudele che negli ultimi sei anni ha prodotto centinaia di migliaia di morti e milioni di rifugiati. In vista di importanti decisioni della Comunità Internazionale, riteniamo che occorra porre con forza l'attenzione delle istituzioni su alcuni elementi imprescindibili per una soluzione del conflitto.
 
Mentre il Consiglio di Sicurezza dell'ONU si riunisce d'urgenza oggi per deliberare su una proposta di risoluzione presentata da Francia, Stati Uniti e Regno Unito - che condanna l'uso di armi chimiche in Siria e richiede una chiara individuazione delle responsabilità per questa ennesima violazione del diritto internazionale - i leader mondiali sono riuniti a Bruxelles per discutere possibili strategie per il futuro della Siria e della regione lungo tre linee guida generali: valutare il mantenimento degli impegni presi alla conferenza di Londra del febbraio 2016; ribadire le promesse fatte e incoraggiare sostegno aggiuntivo per le persone in situazione di bisogno in Siria e nei paesi circostanti insieme alle rispettive comunità ospitanti; evidenziare gli sforzi da parte della comunità internazionale per favorire un buon esito dei colloqui che coinvolgono membri di fazioni siriane sotto l’egida delle Nazioni Unite. E’ previsto anche che la conferenza cominci a considerare eventuali forme di “assistenza post-accordo”, cioè investimenti necessari per la ricostruzione di un paese devastato da anni di violento e prolungato conflitto.
 
Questa assistenza, che dovrebbe seguire il raggiungimento di un accordo, sembra essere solo un’aggiunta e condizionata dall’effettivo inizio di una transizione politica veramente inclusiva. Ribadiamolo, questo tipo di ricostruzione sarà veramente necessaria: la popolazione siriana è stata decimata e le sue infrastrutture devastate. Città intere sono in rovina, scuole distrutte, ospedali incapaci di funzionare, e tutti i servizi pubblici necessari a sostenere la vita quotidiana danneggiati in maniera gravissima, e questa distruzione rappresenta anche una grave violazione delle leggi internazionali per la protezione dei diritti umani. È necessario affrontare queste questioni.
 
Tuttavia, includere tutto ciò entro colloqui finalizzati a ottenere sostegno per le necessità di tipo umanitario e i colloqui tra siriani potrebbe essere come porre il carro di fronte ai buoi. È infatti un modo di procedere problematico per due motivi principali. Prima di tutto, in questo modo si antepone la ricostruzione al recupero, quasi pensare prima ai mattoni che agli esseri umani. Il popolo siriano non può più permettersi di accontentarsi di un posto in seconda fila mentre i suoi diritti e i suoi bisogni vengono discussi, sia ciò a causa degli interessi geopolitici o per la ricostruzione. Secondo, si rischia che gli sforzi per la ricostruzione subiscano la stessa sorte dell’aiuto umanitario, il quale è contemporaneamente sotto attacco e negato in quanto mezzo per controllare la popolazione, costringere le genti a spostarsi e alimentare la guerra. Mettere nello stesso calderone la questione della soluzione politica e della ricostruzione post-accordo rischia di destabilizzare entrambi i processi e di fornire inavvertitamente supporto a ulteriori abusi dei diritti umani e violazioni delle leggi umanitarie. Ancor peggio, la pressione montante sembra dirigersi verso il non attendere neanche il raggiungimento di una soluzione politica, ma invece di incanalare fondi nelle attività ricostruttive sin da ora. Se è da comprendere la forte spinta perché il soccorso venga portato, questo impeto potrebbe risolversi in un disastro. Potrebbe sì portare a miglioramenti nel breve termine ma mettere a repentaglio le prospettive per una pace sostenibile, dato che fornirebbe supporto alle persone veramente coinvolte nella repressione del popolo siriano e nel prolungamento del conflitto. È necessaria una pianificazione per un processo di ricostruzione post-conflitto, ma è anche necessario che questa venga scollegata dalla discussione riguardante il dare supporto al processo politico, in modo da assicurare un esito positivo per entrambi.
 
Tuttavia, quello che sembra mancare completamente dalla conferenza ma che invece deve essere discusso ora è la questione della definizione di responsabilità. A onor del vero, questa questione è stata una di quelle menzionate dall’Unione Europea e altri membri della comunità internazionale, incluso le voci che hanno sostenuto un stabile futuro di pace per la Siria. Come è spesso il caso, tuttavia, giustizia e riparazione per le vittime dei crimini commessi in Siria rischiano di essere ignorate in nome del pragmatismo o, ancora peggio, della “realpolitik”. Se tutte le parti coinvolte nei colloqui di pace non desiderano giustizia – avendo forse timore per la loro propria pelle – la questione della giustizia può finire facilmente nel dimenticatoio se si sostengono gli argomenti che l’aiuto umanitario è più importante, o che la fine del conflitto è più importante, e che queste questioni “minori” possono essere affrontate più tardi. Diciamolo chiaramente: se l’assunzione di responsabilità non sarà uno degli aspetti centrali della soluzione politica, le possibilità di raggiungerla o definirla in seguito sono al massimo remote, più probabilmente nulle. 
 
Nei documenti che illustrano le premesse, gli obiettivi e le discussioni tematiche della conferenza non vi è alcun riferimento alla definizione di colpe e responsabilità. Non vi è alcuna menzione riguardo a riparazioni per i crimini che hanno devastato il paese, la sua gente, il suo patrimonio culturale e le sue infrastrutture. Non si menziona l’eventuale riconoscimento del fatto che i siriani che hanno sofferto durante questa guerra, e che hanno bisogno urgente di assistenza umanitaria, debbano ricevere un qualche tipo di compensazione e soprattutto garanzie di non reiterazione dei crimini. Non si menziona neanche il nuovo meccanismo di investigazione delle colpe creato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a dicembre, il “Meccanismo Internazionale, Indipendente e Imparziale per il sostegno all’Investigazione e alla Prosecuzione dei più gravi Crimini contro le Leggi Internazionali commessi nella Repubblica Araba Siriana a partire dal marzo 2011”, e del sostegno politico e finanziario di cui questo meccanismo ha bisogno per svolgere la propria funzione. Giustizia, compensazione e assunzione di responsabilità sono principi che mettono le persone prima dei mattoni – e tra l’altro possono essere anche importanti strumenti per assicurare che coloro che gestiranno qualunque processo di ricostruzione post-conflitto non sia gli stessi responsabili dei crimini e delle violenze che hanno causato questa distruzione. Questa è una mancanza lampante che deve essere colmata da tutte le figure coinvolte nelle discussioni sul futuro della Siria e della regione intera che si sono riunite a Bruxelles questa settimana.

 
* Gianluca Eramo è direttore del Progamma Democrazia nella regione MENA di Non c'è Pace Senza Giustizia.