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Unione Africana: fallita la domanda keniota di non-cooperazione con la CPI, ma gli Stati Africani dovrebbero fare di più per difendere i diritti delle vittime africane
Il vertice straordinario dell'Unione Africana (UA), tenutosi oggi ad Addis Abeba, in Etiopia, si è concluso con un nulla di fatto in relazione al tentativo da parte del Kenya e di altri Stati membri di spingere i capi di Stato africani ad adottare una risoluzione che inviti alla non-cooperazione con la Corte Penale Internazionale (CPI), o addirittura al ritiro dallo Statuto di Roma.
Il processo al Presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, accusato di crimini contro l'umanità per il suo ruolo nelle violenze post-elettorali del 2007 e del 2008, dovrebbe iniziare a L'Aja il 12 novembre, mentre il processo del suo Vice William Ruto è già iniziato il mese scorso. Benché entrambi gli imputati abbiano rispettato finora tutte le citazioni in giudizio, dato l'aumento delle prove contro i due leader vi è adesso la preoccupazione che possano smettere di cooperare. Una risoluzione di non-cooperazione da parte dell'UA avrebbe potuto fornire una qualche copertura politica per il Kenya, favorendo in tal modo il mancato rispetto dei suoi obblighi legali internazionali in qualità di Stato parte della CPI.
"La decisione adottata dal vertice dell'Unione africana non propone o avalla la non-cooperazione o il ritiro, ma solleva ancora numerose questioni problematiche - afferma Alison Smith, Consigliere Legale di Non c'è Pace Senza Giustizia - Nei suoi riferimenti all'immunità del Capo dello Stato, la decisione dell'UA sembra dimenticare un dato essenziale, consolidato nel diritto internazionale ordinario e riaffermato nello Statuto di Roma della Corte: non c'è immunità davanti a crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio.
"È semplicemente inaccettabile piazzare un'intera categoria di cittadini al di fuori del mandato di giustizia, e tra questi capi di Stato e di governo o uomini che agiscono in tali funzioni, anche se limitate al tempo in cui hanno ricoperto tali ruoli. Invece di favorire il rispetto della legge, una tale presa di posizione incoraggia i criminali a mantenere il potere a tutti i costi e nega alle vittime il diritto alla giustizia e alla riparazione.
"Nondimeno, Non c'è Pace Senza Giustizia (NPSG) e il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT) accolgono il rilievo dell'Unione Africana sulla sua impossibilità a esercitare una pressione politica sui procedimenti giudiziari della Corte. L'articolo 16 dello Statuto di Roma chiarisce infatti che né il Procuratore della CPI, né le Camere o il Cancelliere hanno la facoltà di prendere decisioni sulla base di questioni politiche, e che le sedi adeguate per risolvere tali questioni sono il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l'Assemblea degli Stati parte della CPI.
"Chiediamo dunque al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ed all'Assemblea degli Stati parte della CPI di ascoltare tale richiesta, esortando a fare ciò che l'Unione Africana non ha fatto, ovvero permettere la partecipazione delle vittime provenienti dall'Africa e dal mondo per garantire che le loro voci siano ascoltate, che si tratti di giustizia o impunità che minaccia la pace e la sicurezza".
Per maggiori informazioni, contattare Greta Barbone all'indirizzo e-mail gbarbone@npwj.org o al +32-494-533-920 – oppure Nicola Giovannini all'indirizzo e-mail ngiovannini@npwj.org o al +32-2-548-3915.