Terzo anniversario della Rivolta in Bahrein: fermare l'impunità per le violazioni dei diritti umani, presenti e passate, deve ricoprire un ruolo centrale

Di Niccolò Figà-Talamanca, 15 febbraio 2014

 

Durante i mesi di febbraio e di marzo 2011, sull’onda di simili manifestazioni che stavano scuotendo la Tunisia e l’Egitto, il popolo del Bahrein è sceso per le strade del Regno. Cosa l’ha spinto? Sviluppare un movimento democratico che chiede più trasparenza nel processo politico e riforme durature per allargare lo spazio delle libertà e dei diritti di cui godono i cittadini del Bahrein. I dimostranti a Manama, accampati per giorni in Piazza della Perla, divenuta il centro nevralgico delle proteste, hanno chiesto maggiore libertà politica e l’uguaglianza per la maggioranza sciita della popolazione.
 
Queste manifestazioni di strada sono state accolte dalla violenta repressione della polizia e delle forze armate. Dimostranti pacifici, attivisti per i diritti umani e sostenitori della democrazia hanno dovuto fare i conti con detenzioni extragiudiziali, arresti, reclusioni, maltrattamenti e torture nei centri di detenzione. Il governo ha richiesto assistenza militare da parte del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) e il 14 marzo, l’Arabia Saudita ha risposto con l’invio di truppe e forze di polizia. Il giorno seguente, il re del Bahrein ha dichiarato la legge marziale e tre mesi di stato di emergenza. Durante quei tre mesi, più di 80 persone sono morte, centinaia sono state arrestate e interi paesi e città sono state chiusi dalle forze armate del Bahrein e del CCG, che hanno molestato le persone e hanno indiscriminatamente riversato gas lacrimogeni su interi quartieri, anche sparandoli direttamente dentro scuole e case di privati cittadini.
 

Nel mese di giugno 2011, il re del Bahrein ha annunciato l’istituzione della Commissione Indipendente d’Inchiesta del Bahrein (Bahrain Independent Commission of Inquiry - BICI), diretta dal noto professore di diritto internazionale, Cherif Bassiouni, per indagare su tali eventi e sulle loro conseguenze. Questo potrebbe essere stato il primo degli sforzi sulla giustizia transitoria della primavera araba e uno strumento per affrontare alcuni dei problemi del Bahrein, in particolare per riconoscere lo status di vittime ed erodere la cultura dell’impunità, veicolando il messaggio che le persone che violano i diritti umani saranno ritenute responsabili per le loro azioni. Molte persone nutrivano grandi speranze per quella che è divenuta nota come la “Commissione Bassiouni”. Invece, era l’inizio di una storia, con luci e ombre, di operazioni che sono state ampiamente criticate, poiché la Commissione non si è rivolta al pubblico per spiegare chi fossero e cosa stessero facendo e ha fallito nel coinvolgere pienamente nel suo lavoro le organizzazioni non governative, gettando così profondi dubbi sulla sua autenticità e indipendenza.
 
Cinque mesi più tardi, il 23 novembre 2011, la BICI ha pubblicato il suo rapporto. Questo ha confermato che il personale di sicurezza ha usato “forza letale non necessaria ed eccessiva” e ha fomentato “comportamenti che ispirano il terrore” contro dimostranti pacifici durante le manifestazioni, i quali sono stati arbitrariamente arrestati, detenuti, torturati, maltrattati e si sono visti anche negare processi equi. La BICI ha anche notato che le forze di sicurezza bahreinite hanno operato all’interno di una “cultura di impunità” e ha concluso che gli abusi “non avrebbero potuto verificarsi senza che i livelli più alti livelli della struttura di comando delle forze di sicurezza ne fossero a conoscenza”.

Il rapporto comprendeva 26 raccomandazioni per, da una parte, affrontare le violazioni dei diritti umani passate e, dall’altra, per prevenire quelle future, intraprendendo vaste riforme del sistema giudiziario, legislativo ed istituzionale.
 
Il rapporto è stato ufficialmente accolto dal Re senza riserve, che si è anche detto pronto ad impegnarsi per attuare pienamente le raccomandazioni. Anche la società civile del Bahrein e diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno accettato tale rapporto nella speranza che la sua attuazione potesse essere il trampolino di lancio per riforme più profonde e che potesse aprire la strada per l’accertamento delle responsabilità, la riconciliazione e il rispetto dei diritti umani nel paese. In ogni caso, nonostante ci fosse la volontà di trarre maggiori benefici possibili dalla situazione, quegli stessi gruppi hanno ritenuto il rapporto BICI essere parziale e che le sue raccomandazioni fossero di troppo corto respiro rispetto a quanto fosse effettivamente richiesto, stanti i fatti denunciati nel rapporto stesso.
 
Ad oggi, le promesse del governo non si sono trasformare in azioni concrete. Mentre il governo del Bahrein ha affrontato alcune delle questioni sollevate dal rapporto BICI, le sue raccomandazioni chiave e quelle più delicate non sono state attuate e solo parziali e indolenti riforme sono state portate a termine. Nemmeno i continui appelli della comunità internazionale nell’ambito di vari meccanismi di monitoraggio dei diritti umani, compreso il meccanismo di Revisione Periodica Universale (UPR) diretto dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite che nel mese di settembre 2012, sono riusciti ad accelerare il processo di riforma e a fermare le molestie, le detenzioni illegali e l’uso politico della magistratura. Invece, questa situazione ha continuato ad alimentare l’odio settario e una cultura d’impunità e insabbiamento, che non ha fatto altro che rafforzare le forze reazionarie su tutti i fronti.
 
Ad essere onesti, le autorità hanno indagato e perseguito alcuni funzionari di sicurezza di basso grado in rapporto a casi di presunte torture e uccisioni illegali. Tuttavia, nessun alto funzionario presso il Ministero degli Interni o presso l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale è stato finora ritenuto responsabile per presunti atti illeciti o colposi come maltrattamenti, torture e uccisioni di civili. Non si conosce alcun ufficiale facente parte delle Forze di Difesa del Bahrein per essere stato indagato, anche se l’esercito ha svolto un ruolo di primo piano nella campagna di repressione del 2011. Come tale, nessuno che abbia l’autorità legale per prendere decisioni su cose di questo tipo, o per punire i responsabili per essere accadute, è mai stato accusato, tanto meno perseguito o condannato. Inoltre, il governo non è riuscito a commutare le pene e a rilasciare le persone accusate di reati che hanno a che vedere con l’espressione politica, come raccomandato dal rapporto BICI.
 
Quasi tre anni dopo la sua risposta violenta alle manifestazioni dei cittadini che richiedevano riforme politiche, il regime bahreinita non è riuscito a fornire un qualsiasi significativo programma di riforma. Quel che è peggio, è che ancora continua a reprimere il dissenso pacifico e nega quotidianamente alla maggioranza del popolo bahreinita i diritti fondamentali. Lo fa utilizzando le istituzioni dello Stato per attaccare e controllare la popolazione, creando un clima di sfiducia e di paura. Severe restrizioni al diritto di libertà di espressione e di associazione persistono senza tregua, comprese le leggi repressive che sono state recentemente approvate. Attivisti della società civile di primo piano e difensori dei diritti umani, compresi dei minori, sono ancora esposti regolarmente a vessazioni, detenzioni arbitrarie, reclusioni, maltrattamenti e processi iniqui e motivati politicamente, che si concludono con dure condanne per aver partecipato a manifestazioni pacifiche o per aver osato criticare i funzionari. Questa campagna di pratiche di repressione e di rappresaglia si è recentemente ampliata ulteriormente fino a comprendere anche esponenti dell’opposizione impegnati nel processo di dialogo nazionale in corso che le autorità bahreinite hanno propagandato come facente parte del processo di riforma. Queste ultime azioni dimostrano palesemente la mancanza d’impegno delle autorità e inoltre, ostacolano la possibilità di apportare qualsiasi cambiamento per il futuro del paese, nel breve e nel lungo periodo.
 
Nonostante la repressione continui, la società civile del Bahrein sta perseverando nel suo ruolo chiave come un cane da guardia per il rispetto dei diritti umani nel paese e nella lotta per la creazione di istituzioni più aperte e democratiche. Questi sforzi di difesa dei diritti e di monitoraggio devono essere supportati. L’impegno della maggioranza della popolazione bahreinita per apportare riforme orientate a stabilire un sistema politico basato sul rispetto dei diritti umani, sull’applicazione del principio di non discriminazione e sull’attribuzione delle responsabilità per le violazioni perpetrate dà ancora speranza per un futuro migliore.
 
Se il governo è davvero sinceramente impegnato nel processo di riforma volto ad ancorare il futuro del paese ai valori democratici, deve rispettare lo stato di diritto, smettere di alimentare divisioni settarie e assicurare l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, a prescindere dalla religione, dai legami familiari o qualifica ufficiale.
 
In primo luogo, questo significa proteggere i diritti umani, in particolare il diritto dei cittadini di essere liberi dalla paura di subire molestie, il carcere e la tortura. È indispensabile che tutti i prigionieri di coscienza rimasti e tutti i difensori dei diritti umani detenuti in carcere per aver esercitato il proprio diritto di libertà di espressione e di associazione pacifica, siano rilasciati senza ulteriori indugi. Ove siano necessari processi secondo le procedure giudiziarie previste, devono rispettare gli standard internazionali ed essere monitorati da terzi. Una soluzione pacifica all’attuale crisi dei diritti umani in Bahrein sarà possibile soltanto se tutti coloro che sono impegnati nel dialogo pacifico e nonviolento saranno liberi di contribuire pienamente a tale processo.
 
Il governo del Bahrein deve stabilire meccanismi di responsabilità credibili e imparziali per affrontare le violazioni perpetrate nel passato e per prevenire gli abusi presenti e futuri, come raccomandato dal rapporto BICI e dal meccanismo di Revisione Periodica Universale dell’ONU. Il governo deve inoltre impegnarsi a indagare efficacemente su tutte le denunce di tortura, maltrattamenti, sparizioni forzate e altre violazioni dei diritti umani e portare i responsabili davanti a un tribunale. Questi sarebbero passi importanti per pore fine alla cultura prevalente di impunità e, soprattutto, per assicurare il riconoscimento e la giustizia per le vittime. Per avere successo, questi processi non possono essere basati sulla concessione di impunità per le violazioni dei diritti umani commesse, né le misure volte a porre fine all’impunità possono essere portate avanti da coloro che hanno usato il sistema giudiziario per infliggere terrore e persecuzione. Tutti quelli che hanno ordinato o commesso atti di tortura devono essere rimossi da posizioni di autorità, ed essere indagati e processati.
 
Le autorità bahreinite dovrebbero inoltre cooperare pienamente con i meccanismi di monitoraggio dei diritti umani e con gli Special Rapporteurs delle Nazioni Unite, al fine di consentire una valutazione indipendente delle condizioni dei diritti umani, in particolare riguardo alla libertà di associazione e di riunione, alla situazione dei difensori dei diritti umani, alla tortura e al patrocinio gratuito per i processi.
 
Queste sono le condizioni minime per dimostrare un impegno reale per attuare le raccomandazioni sia del rapporto BICI, sia del meccanismo UPR. Purtroppo, al momento in cui scriviamo, le autorità del Bahrein non si sono ancora impegnate seriamente in un dialogo politico sull’attuazione di queste misure, né sembrano pronte e disposte a farlo.
 
Infine, la comunità internazionale ha la responsabilità di assicurare che le autorità del Bahrein non continuino con questa strategia di “copertura” piuttosto che rispettare i loro obblighi. Ciò significa sostenere quelle forze politiche all’interno del Bahrein che stanno lavorando instancabilmente per sviluppare un processo pacifico e non violento per stabilire meccanismi di giustizia transitoria. Significa istituire meccanismi di allerta precoce all’interno della comunità diplomatica di Manama, per garantire che i processi siano monitorati. Significa anche facilitare incontri regolari e frequenti con le organizzazioni della società civile e dei soggetti a rischio di molestie e persecuzione penale. La comunità internazionale dovrebbe utilizzare i consessi internazionali e i meccanismi internazionali, come il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra e gli Special Rapporteurs delle Nazioni Unite, per spingere le autorità del Bahrein a rispettare le convenzioni internazionali e a sostenere i diritti umani universali. Se necessario, questo significa anche che le candidature internazionali del Bahrein per ottenere posizioni nell’ambito di organizzazioni internazionali debbano essere negate, fino a quando i diritti umani e lo Stato di diritto non siano rispettati nel paese.
 
In definitiva, la comunità internazionale dovrebbe favorire la creazione di un meccanismo di monitoraggio internazionale con il compito di monitorare l’effettiva attuazione delle raccomandazioni del rapporto BICI e di valutare la situazione complessiva dei diritti umani in Bahrein, seguendo un calendario specifico e preciso. Ciò potrebbe essere fatto programmando una sessione speciale per il Barhein presso il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e attraverso l’adozione di una risoluzione che inviti le autorità del Bahrein a porre fine alla repressione, garantire l’accertamento delle responsabilità e la cooperazione con i meccanismi dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite.
 
La giustizia e la pace sono elementi integranti di un sistema democratico e la comunità internazionale ha il dovere di sostenere il popolo del Bahrein nella sua ricerca nonviolenta di promozione della democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani fondamentali. La lezione principale imparata due anni dopo la pubblicazione del rapporto BICI è che c’è ancora molta strada da fare e molto di più può essere fatto per rendere tutto questo realtà.
 

Niccoló Figà-Talamanca è Segretario Generale di Non c’è Pace Senza Giustizia
 
Non c’è Pace Senza Giustizia (NPSG) supporta le organizzazioni e gli attivisti per i diritti umani del Bahrein nei loro sforzi volti a promuovere una riforma politica democratica e nonviolenta nel Bahrein. Si concentra sull’assistenza a difensori e sostenitori dei diritti umani per garantire l’accertamento delle responsabilità reali ed effettive per le violazioni dei diritti umani, passate ed in corso, anche attraverso attività di sensibilizzazione, di monitoraggio e di documentazione.
 
Per ulteriori informazioni, consultare: http://www.npwj.org/it/node/5809