Il bivio Libia , dove va l’Europa?

Gianluca Eramo*, Bruxelles, 24 ottobre 2014


 

Sin dalla metà di maggio 2014, la Libia sta attraversando un periodo turbolento caratterizzato da instabilità politica e violenti scontri tra gruppi armati, che risultano in un’ulteriore polarizzazione e frammentazione dello scenario politico. L’evoluzione politica della Libia è sfaccettata e rimane intrappolata in un quadro politico divisivo e frammentato che non sembra offrire un percorso che conduca fuori dalla transizione. Mentre le autorità centrali rimangono divise e contrapposte sulla divisione del potere, la società libica porta ancora le cicatrici della rivoluzione, che non sono solo visibili sugli edifici o sui bordi delle strade, ma chiaramente visibili nel sistema legislativo e istituzionale del paese. Lo scontro armato tra milizie e la forte divisione politica, risultato della decisione della precedente assemblea parlamentare (GNC) di non sciogliersi dopo le elezioni generali del 25 giugno, ha portato a un brusco peggioramento della situazione umanitaria e dei diritti umani, nonché ai peggioriepisodi di violenza dalla caduta del regime di Gheddafi.
 
Il futuro politico e la stabilità della Libia saranno determinati dal modo in cui la comunità internazionale gestirà il periodo post-Gheddafi e post-conflitto, e da come sosterrà e a farà crescere i pochi elementi di giustizia di transizione già presenti nel sistema normativo libico. Questi elementi giocano un ruolo centrale nella formazione di un nuovo contratto con i cittadini libici e avranno conseguenze importanti per lo sviluppo di istituzioni socio-politiche capaci di salvaguardare ed espandere i diritti civili e politici dei libici.

 
La riposta che le organizzazioni internazionali e i paesi occidentali hanno dato alla crisi attuale è stata fino a questo momento confusa e si è limitata a dichiarazioni di principio e di generico sostegno al dialogo tra i soggetti politici libici. Recentemente, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon è stato in visita a Tripoli assieme a Federica Mogherini, il futuro Alto Rappresentante dell'Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, e quattro inviati speciali di paesi dell’Unione Europea, per sottolineare la necessità di dialogo. Le dichiarazioni del Segretario Generale però, nonostante vaghi rimandi al bisogno di affrontare le cause di fondo del conflitto, sono state prive di riferimenti ai diritti umani, alla giustizia di transizione e alla necessità di porre fine all’impunità.
 
Allo stesso tempo, paesi confinanti e potenze regionali  stanno manovrando tra le milizie libiche per guadagnare accesso, potere e controllo. Il Presidente Al-Sissi, il nuovo uomo forte al Cairo, sta metodicamente mettendo in piedi una coalizione informale con gli EAU, l’Algeria e, recentemente anche il Sudan, per portare la Libia sotto la sua sfere d’influenza, proponendo progetti più concreti rispetto a quelli offerti dal mondo occidentale. La scorsa settimana, in una dichiarazione congiunta con il Presidente sudanese Al-Bashir, Al-Sissi ha promesso assistenza e materiali alle autorità libiche per rafforzare le loro forze armate (ufficiali). Ad agosto, aerei degli EAU, con l’assistenza logistica delle forze aeree egiziane, avrebbero bombardato le milizie sostenute dal Qatar che stavano assediando l’aeroporto internazionale di Tripoli.

 
È tempo che la comunità internazionale sviluppi una strategia politica concreta per sostenere le legittime aspirazioni del popolo libico alla sicurezza, alla dignità e alla democrazia. E’ necessario riportare in primo piano nella discussione politica quegli stessi valori che sono stati il fulcro della rivoluzione che ha messo fine al regime del colonnello Gheddafi, e di sostenerli fortemente e in maniera concreta. Così com’è stato dimostrato da numerose società in transizione, impunità e violenza sono basi troppo fragili sulle quali costruire la democrazia.

 
Rudimentali meccanismi di giustizia di transizione, come la Legge 29/2013 sulla giustizia di transizione e il Decreto Ministeriale del 19 febbraio 2014 sulla legislazione riguardante le riparazioni per le vittime di stupri e violenze, sono già presenti all’interno del sistema legislativo libico. Questi strumentidevono ora essere messi in pratica e devono diventare il fulcro del dialogo tra forze politiche in Libia. Le Nazioni Unite in generale, in particolare l’UNSMIL, e i paesi occidentali dovrebbero far sì che questi meccanismi di giustizia di transizione diventino le fondamenta della loro strategia politica, sostenendoli e sollevandoli sia in contesti pubblici che privati.

 
Concentrarsi sull’attuazione di leggi sulla giustizia di transizione fornirà agli attori della società civile libica e alle forze politiche obiettivi raggiungibili e concreti, e permetterà la creazione di di quei meccanismi di riconciliazionen e risoluzione pacifica dei conflitti, fondamentali per portare avanti una discussione sul tema del rispetto dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto. Assicurarsi che i meccanismi di giustizia di transizione rimangano al centro del dialogo è uno degli strumenti necessari per costruire istituzioni statali, come il sistema giudiziario, che garantiscano l’uguaglianza di fronte alla legge, l’accountability e l’assunzione di responsabilità da parte di tutti i cittadini. Questi sono elementi fondamentali senza i quali un regime democratico, pacifico e stabile non potrà né essere creato né tantomeno sostenuto.

 
Assicurarsi che il discorso politico in Libia si concentri sulla creazione di meccanismi di giustizia di transizione condivisi, aperti e trasparenti, potrà far cessare le tendenze attuali volte a guardare al di là dei confini nazionali per cercare supporto politico. Potrà anche aiutare a ridurre il rischio di intervento di attori esterni che potrebbero alimentare cicli di violenza e vendetta. Concentrarsi sulla giustizia di transizione può aiutare a indebolire lo spazio di negoziazione di coloro che cercano di mantenere il potere tramite la violenza. I benefici di un’attenzione verso la giustizia di transizione sono molteplici; le conseguenze di una mancata attenzione potrebbero invece essere catastrofiche.

 
La Libia si trova in un punto critico della sua storia e l’Europa – così come il resto della comunità internazionale – dovrebbe risolutamente assicurare che la bussola che guiderà le forze politiche libiche per permettere loro di raggiungere stabilità, accountability democrazia e stato di diritto siano i meccanismi di giustizia di transizione e non gli interessi geo-politici stabiliti da Egitto e Sudan.

 
Gianluca Eramo è coordinatore del programma per il Medio Oriente e il Nord Africa di Non c’è Pace Senza Giustizia
 

NPSG in Libia
NPSG lavora sulla transizione in Libia fin dall’inizio del 2011, nell’ambito del suo progetto per sostenere la transizione democratica della Libia attraverso la giustizia e l’attribuzione delle responsabilità. Mentre il paese si mette al lavoro per mettere in atto riforme legislative, le autorità libiche hanno l’opportunità di rompere con l’eredità di impunità e abusi che era tipica dell’era di Gheddafi, concentrandosi invece sul rispetto per lo stato di diritto e l’impegno per reinstaurare la giustizia e restituire dignità alle vittime. Questo processo richiederà non solo l’investigazione e la persecuzione dei crimini e della violenza perpetrati durante la rivoluzione, ma anche degli sforzi per confrontare una storia di oppressione e abusi dei diritti umani che ha origini antiche.

 
Per ulteriori informazioni sulle attività di NPSG in Libia è possibile contattare Giulia Cappellazzi all'indirizzo gcappellazzi@npwj.org o al +218911476934.