Giornata Mondiale della Giustizia Internazionale: NPSG e NRPTT invocano un impegno maggiore nella lotta all’impunità

Bruxelles-Roma-New York, 17 Luglio 2014

 

Oggi, 17 luglio, è la Giornata Mondiale della Giustizia Internazionale: dopo anni di campagne condotte da  Non c’é Pace Senza Giustizia (NPSG) ed altri attori, questa data è stata scelta dall’Assemblea degli Stati parte della Corte Penale Internazionale (CPI) durante la prima conferenza di revisione dello Statuto di Roma, tenutasi nel Giugno 2010 a Kampala, in Uganda. La Giornata Mondiale della Giustizia Internazionale segna l’anniversario dell’adozione da parte di 120 stati dello Statuto di Roma, il trattato fondante della CPI , firmato nel 1998 ed entrato in vigore il 1 Luglio 2002.

 Dichiarazione di Alison Smith, Consigliere legale di Non c’è Pace Senza Giustizia:

“Non c’è Pace Senza Giustizia e il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (NRPTT) celebrano la Giornata Mondiale della Giustizia Internazionale. Tale giornata è una pietra miliare della storia mondiale, in particolar modo per le vittime dei crimini ai sensi del diritto internazionale. Per questo motivo, nella giornata di oggi, anniversario dell’adozione dello statuto e della nascita della CPI, ricordiamo tale momento con i nostri partner e con tutti coloro che sono implicati nella lotta all’impunità, compresa la stessa CPI.
 
Cogliamo inoltre l’opportunità di ricordare che per vincere la lotta contro l’impunità devono succedere due cose. Gli stati devono in primo luogo riaffermare regolarmente e pubblicamente il loro impegno contro ogni tentativo di scegliere la strada dell’impunità , qualora ciò rischi di avverarsi; in secondo luogo, essi sono poi chiamati ca confermare tali parole e a far sì che l’attribuzione delle responsabilità sia effettuata. Le vittime e le popolazioni colpite da tali crimini dovranno essere e rimanere al centro della scena: esse non sono un “di più” o un lusso, ma la vera ragione per cui è importante combattere l'impunità ad ogni livello.  Oggi è anche un’occasione per sottolineare gli sviluppi nel campo della giustizia internazionale, alcuni di essi positivi ed altri preoccupanti, e mettere in rilievo quei paesi in cui non si registra alcuno sviluppo.
 
Indubbiamente, il giudizio finale del processo a Charles Taylor, espresso il 26 Settembre 2013 dalla Camera d’Appello della Corte Speciale per il Sierra Leone (SCSL), ha segnato un passo storico nella lunga strada del Sierra Leone verso l’attribuzione delle responsabilità per gli orrori commessi nel conflitto tra il 1996 e il 2002. Tale processo ha permesso dunque l’introduzione di alcune misure di giustizia e di riparazione per le vittime e le popolazioni implicate, ed è stata inoltreuna grande conquista per la giustizia penale internazionale in tutto il mondo, considerato che  Charles Taylor è stato il primo ex capo di Stato il cui caso è stato portato avanti fino all’appello da un tribunale internazionale dopo la seconda guerra mondiale e i processi di Norimberga. Come la recente deliberazione della Prima Camera Preliminare della Corte Penale Internazionale (che ha confermato le accuse di crimini contro l’umanità contro l’ex Presidente della Costa d’Avorio Laurent Gbagbo ed il suo rinvio a giudizio), la decisione della SCSL ha inviato un inequivocabile messaggio deterrente ai leader che potrebbero in questo momento commettere dei crimini in violazione della legge internazionale: nessuno è al di sopra della legge e anche coloro che sono ai più alti livelli verranno giudicati per le loro azioni. Adesso che la Corte speciale ha completato il proprio mandato con successo, è essenziale che ogni sforzo ed ogni misura siano portati avanti per assicurare che la SCSL lasci un’eredità significativa e consolidata per la giustizia, la riconciliazione e lo stato di diritto in Sierra Leone. La SCSL è la prima corte internazionale a chiudere le proprie porte e a mettere in atto una strategia di completamento, continuando così a mostrare al mondo come la giustizia possa essere implementata in modo effettivo e con il massimo impatto nel paese in cui i crimini sono stati commessi.  Per questa ragione incitiamo la comunità internazionale, e in particolare gli stati che hanno supportato il Sierra Leone negli anni, ad assicurare che la Corte Speciale residuale per il Sierra Leone, che ha sostituito la SCSL, abbia quei fondi necessari per compiere le sue funzioni essenziali. Questo è l’unico modo per accertare che l’eredità della Corte Speciale non si perda per il Sierra Leone, per l’intera  regione e per il mondo.
 
L’esperienza di numerosi paesi devastati da violenti conflitti dimostra che la mancanza di attenzione nell’attribuzione delle responsabilità, sia essa dovuta a dei crimini commessi ai sensi del diritto internazionale o al fallimento di aderire alle obbligazioni legali internazionali come prescritto dalla legge e dalle Risoluzioni delle Nazioni Unite, crea una situazione in cui l’impunità è la norma. Negli ultimi tre anni, la Siria è stata testimone di crimini contro l’umanità, di crimini di guerra e di altre gravi violazioni dei diritti umani che continuano ad essere perpetrate con crescente frequenza e brutalità: tali violazioni sono il risultato di tre anni di insuccesso internazionale nel fermare le orribili sofferenze inflitte ai civili ed in particolare a donne e bambini. Dall’inizio del conflitto nel 2011, abbiamo costantemente affermato che mantenere una  salda posizione nell’attribuzione delle responsabilità è il miglior modo per servire la causa della pace e della sicurezza in Siria. Il 22 Maggio 2014, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha finalmente votato una risoluzione, presentata dalla Francia e supportata da 62 Stati Membri, che invita a deferire la situazione della Siria alla CPI. Il supporto alla risoluzione, espresso dai membri del Consiglio di Sicurezza, ad eccezione di Russia e Cina, segnala che un numero crescente di stati vogliono investigare e perseguire coloro che si rendono responsabili per le atrocità commesse contro la popolazione civile in Siria. Russia e Cina, ostruendo l’adozione della risoluzione, hanno la vergognosa responsabilità di aver impedito un’azione di risposta ai continui crimini e abusi, nonché l’attribuzione di responsabilità per i  crimini commessi. Nonostante il fallimento di ogni iniziativa diplomatica avviata fino ad oggi, auspichiamo ancora che la comunità internazionale riesca finalmente a far fronte alle proprie responsabilità nel proteggere la popolazione civile siriana, nella speranza  che il prossimo anno la Giornata Mondiale della Giustizia Internazionale possa essere una celebrazione per la popolazione siriana e non una triste riflessione.
 
Favorire l’impegno politico sia a livello nazionale che internazionale è fondamentale anche per affrontare una delle più urgenti questioni odierne legate ai diritti umani, vale a dire la violenza sessuale e di genere nei conflitti (Sexual and gender-based violence in conflict - SGBV). SGBV continua a essere un crimine devastante ma non ancora sufficientemente denunciato, commesso in numerosi paesi del mondo colpiti da conflitti. Dall’Afghanistan alla Repubblica Democratica del Congo, dalla Bosnia alla Siria e fino al Sudan, donne e ragazze ma anche uomini e ragazzi sono stati e sono oggetto di tali abusi, eseguiti in totale impunità dalle forze armate o da altri gruppi. L’attribuzione delle responsabilità e la riparazione per tali violazioni dei diritti umani devono essere poste al centro dell’attenzione per assicurare una speranza di stabilità, di riconciliazione e di pace nei paesi interessati. Il Protocollo Internazionale sulla Documentazione e sull’Investigazione della Violenza Sessuale nei Conflitti, sostenuto dal governo britannico e varato al Global Summit tenutosi a Londra lo scorso giugno, invita la comunità internazionale a supportare gli sforzi di monitoraggio e di documentazione degli attivisti e delle ONG che lavorano sul campo. La comunità internazionale dovrebbe fornire assistenza nel costruire dei meccanismi di attribuzione della responsabilità per assicurare che i colpevoli di SGBV affrontino la giustizia e che l’esperienza delle vittime non sia dimenticata nella fase successiva al conflitto. Il Protocollo ha le potenzialità per assicurare un enorme impatto a livello nazionale, includendo al suo interno anche gli sforzi della società civile nella lotta contro l’impunità per questi crimini: dobbiamo assicurare che esso abbia l’opportunità per assicurare tale impatto.
 
Giustizia e attribuzione delle responsabilità sono anche componenti essenziali per sostenere una transizione efficace dall’autoritarismo e dall’illegalità alla democrazia e allo stato di diritto. I fattori comuni a tutti i paesi della primavera araba sono senza dubbio il desiderio e il bisogno di giustizia, di attribuzione delle responsabilità e di riconciliazione per le azioni commesse durante la rivoluzione e per le violazioni dei diritti umani degli ultimi decenni. È adesso necessario che le vittime dispongano degli strumenti necessari per chiamare a rispondere i loro governi e tutti coloro che abbiano commesso delle violazioni. Siamo fieri in tal senso di facilitare tali processi, specialmente in paesi come la Libia, dove le vittime hanno vissuto una duplice repressione, trovandosi a vivere in un regime dittatoriale. Senza sottovalutare le importanti sfide che il sistema giudiziario libico deve affrontare e i problemi di sicurezza dovuti all’attuale crisi, i processi all’interno dei tribunali libici contro Saif- al Islam Gheddafi e altri leader del passato regime segnano un’opportunità storica per le autorità libiche. Tramite essi, la Libia può dimostrare la sua capacità di rompere con il lascito di impunità ed abusi, che ha caratterizzato il regime di Gheddafi, e sostituirlo con un nuovo rispetto per lo stato di diritto, adempiendo così alla promessa di giustizia e di riparazione per le vittime e le loro famiglie. È fondamentale che le autorità giuridiche libiche assicurino che i processi siano condotti in maniera giusta, imparziale e in rispetto del diritto a un giusto processo, secondo i più alti standard internazionali. La comunità internazionale dovrebbe fornire supporto tecnico alle autorità locali e alla società civile, includendo meccanismi di monitoraggio come la Rete di monitoraggio dei processi giudiziari, istituita nell’agosto del 2013 con l’appoggio di NPSG, la quale sta seguendo molto da vicino i procedimenti del processo di Gheddafi a Tripoli. Tale impegno potrebbe giocare un ruolo unico e significativo nel sostenere riforme giudiziare e nel potenziare l’imparzialità, l’efficacia e la trasparenza dell’ordinamento giudiziario libico.
 
Per la Corte Penale Internazionale stessa, questo è stato un anno di alti e bassi. Perché essa confermi la capacità di mantenere e rafforzare la sua rilevanza e il suo impatto, la CPI deve adesso mostrare i denti. Essa deve essere sufficientemente finanziata e supportata, effettiva ed efficiente per costituire una vera minaccia e non un finto spauracchio. Per dare autorità di fronte alla promessa di giustizia, tutti gli Stati parte dovrebbero rispondere ai loro obblighi sotto lo Statuto di Roma e cooperare pienamente con la CPI, in particolare assicurando l'applicazione di tutti i suoi mandati di cattura ancora in sospeso. Noi non possiamo – e non dobbiamo – dimenticare che vi sono ancora numerosi latitanti: il loro arresto immediato e il passaggio altrettanto immediato alla fase processuale sono almeno il minimo che le vittime meritano. Gli Stati devono garantire che non ci sarà rifugio sicuro nel mondo per tutti i criminali di guerra latitanti, a prescindere dalla loro posizione nel paese di origine. Come riconosciuto nel diritto consuetudinario internazionale e nello Statuto di Roma, non esiste immunità per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio. 
 
Gli Stati Parte devono assicurare sufficienti risorse finanziarie per la CPI e supporto per il suo lavoro, per dare giustizia e riparazione alle vittime. Inoltre devono garantire che la CPI sia in grado di rispondere ai bisogni e alle aspettative del suo gruppo principale di riferimento, ovvero le vittime dei crimini che investiga e processa. Come abbiamo sottolineato costantemente, per assicurare il suo impatto, la scommessa principale della CPI sta nel suo lavoro di sensibilizzazione e nella sua presenza sul campo; due aree che, nonostante gli importanti progressi compiuti, rimangono inadeguate per permettere ad essa di adempiere in pieno al suo mandato.  La Corte dovrebbe infatti assicurare un’attività di sensibilizzazione fin dalle prime fasi di intervento in qualsiasi situazione, incluso durante il periodo d’investigazione preliminare, e dovrebbe incoraggiare la partecipazione delle vittime, specialmente dei gruppi più vulnerabili come donne, bambini e giovani. Tali sforzi avranno un impatto enorme negli anni a venire, in relazione all'abilità della Corte di assicurare un lascito positivo e duraturo nei Paesi in cui opera. 
 
Allo stesso tempo, siamo consapevoli del fatto che il perseguimento della  giustizia non può essere intrapreso solamente dalla CPI, poiché essa si concentra solo su imputati al più alto livello di responsabilità. In paesi dove vi sono inchieste in corso, come in Kenya e Costa d’Avorio, le autorità nazionali hanno, nei confronti dei loro cittadini, la responsabilità di perseguire la giustizia, la verità e la riparazione e di impedire l’impunità ad ogni livello. Invitiamo tali autorità a garantire un’appropriata ed efficace attribuzione delle responsabilità per tutti quei crimini che la CPI non è in grado di affrontare, utilizzando tutte le varie strategie di giustizia nazionale transitoria nell’ambito del diritto penale. Solamente garantendo il compimento della giustizia nei confronti delle vittime e sostenendo lo stato di diritto, le autorità potranno dimostrare una rottura con il passato e quindi riacquistare la fiducia dei loro popoli nelle istituzioni statali. Ciò confermerebbe che tali paesi hanno scelto di voltare pagina e di procedere verso un futuro basato sul pieno rispetto dei diritti umani di tutti”.
 

 
Per maggiori informazioni contattare Alison Smith all’indirizzo asmith@npwj.org o o al +32-2-548 39 12 oppure Nicola Giovannini all’indirizzo ngiovannini@npwj.org o al +32-2-548-3915.