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dicembre 2014
Direttore resp.: Nicola Giovannini
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 Notizie

Mutilazioni Genitali Femminili: Risoluzione ONU adottata oggi indica crescente consenso per il bando universale di questa violazione dei diritti umani
 

Il 18 dicembre 2014, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una Risoluzione che riafferma la sua richiesta di mettere al bando universalmente le mutilazioni genitali femminili (MGF). La Risoluzione [A/C.3/69/L.22], è stata cosponsorizzata dal Gruppo degli Stati Africani e da altri 71 Stati membri ed è stata adottata per consenso da tutti i membri dell’ONU. L’Assemblea Generale dell’ONU aveva preso una prima forte posizione su tale questione il 20 dicembre 2012, adottando la Risoluzione A/RES/67/146,  a seguito di una lunga campagna condotta dalla coalizione di Ong africane ed europee BanFGM, costituita su iniziativa di Non c'è Pace Senza Giustizia.
 
NPSG e il Partito Radicale si congratulano per l’adozione di questa nuova Risoluzione. Il numero in aumento di paesi che promuovono la Risoluzione – 21 in più rispetto al 2012 – è un segnale del crescente consenso tra gli stati disponibili ad agire efficacemente per porre termine alle MGF come grave violazione su ampia scala dei diritti delle donne e delle bambine.
 
Così come riaffermato nella Risoluzione adottata oggi, tutti gli Stati dovrebbero prendere le misure necessarie, inclusa la promulgazione e l'applicazione di legislazioni, per proibire le MGF, per proteggere donne e bambine da queste forme di violenza e per processare i responsabili. Questo è anche un segnale forte per tutti quegli attivisti che lavorano per far sì che una chiara ed effettiva legislazione nazionale bandisca in modo inequivocabile le MGF nei loro rispettivi paesi.
 
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Alvilda Jablonko è Coordinatrice del Programma sulle MGF di Non c’è Pace Senza Giustizia

Dichiarazione di Non c’è Pace Senza Giustizia alla 13ma Assemblea degli Stati Parte della CPI
 

È per me un onore rivolgermi a questa Assemblea degli Stati Parte dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale a nome di Non c’è Pace Senza Giustizia. Confidiamo nel continuare a lavorare con voi negli anni a venire, nel nostro comune impegno a migliorare il lavoro della Corte e dell’Assemblea al servizio delle vittime e delle comunità colpite da conflitti armati e da sollevazioni politiche.
 
Quest’anno – come gli anni passati – vede un reale bisogno per gli Stati Parte di continuare a sostenere e difendere l’integrità dello Statuto di Roma. Come Assemblea e in quanto Stati che hanno fondato tale sistema di giustizia penale internazionale, avete la responsabilità di sostenerlo e di assicurare che funzioni efficientemente ed efficacemente. Nel fare ciò, dovreste sempre tenere fermamente a mente l’obiettivo a lungo termine: quali azioni possiamo compiere ora per aiutare la CPI ad adempiere al suo mandato di fornire giustizia e risarcimento, sia in questo momento che nel lungo periodo.
 
Tra le altre cose, questo significa trovare il modo per aiutare la Corte a snellire il suo bilancio, assicurandosi allo stesso tempo che possieda le risorse di cui ha bisogno. Significa adottare un linguaggio forte sulla cooperazione e supportare strumenti per promuoverla, tra cui linee guida sui contatti non essenziali e un meccanismo pilota di coordinazione delle autorità nazionali. Significa rafforzare le attività di sensibilizzazione (Outreach) sia a livello delle politiche che nel regolare bilancio della Corte. Significa sostenere la Corte nel diventare un’istituzione attiva sul campo, vicina alle persone coinvolte dal suo lavoro, fatto che aiuterà ad ottenere efficienza e ad aumentare l’impatto del lavoro della Corte. Più ampiamente, ciò comprende supportare gli sforzi come quelli per riferire alla Corte la situazione in Siria.
 
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*  Alison Smith è Consigliere Legale e direttore del Programma di Giustizia Penale Internazionale di NPSG

Sudan: NPSG e il Partito Radicale condannano l’arresto arbitrario dell’avvocato dei diritti umani Amin Medani, chiedendo il suo rilascio immediato
 

Sabato 6 dicembre 2014, il Dott. Amin Mekki Medani, rinomato attivista per I diritti umani e presidente della confederazione della Società Civile del Sudan, è stato arrestato a Karthoum insieme ad altre persone dai Servizi di Sicurezza sudanesi. Gli arresti sono avvenuti in seguito al loro ritorno da Addis Abeba, dove avevano firmato il "Sudan Call", una dichiarazione politica sull’istituzione di uno stato di cittadinanza e democrazia.
 
NPSG e il Partito Radicale condannano fermamente l’arresto arbitrario e la detenzione di Amin Mekki Medani. Insistiamo affinché le autorità sudanesi assicurino il suo rilascio immediato e senza condizioni. Esprimiamo la nostra solidarietà al Dott. Medani e elogiamo il suo impegno legittimo per porre un termine ai conflitti che infiammano diverse regioni del Sudan e per la formazione di istituzioni trasparenti, basate sullo stato di diritto.
 
Questi arresti sono l’ennesima dimostrazione delle misure repressive che il governo del Sudan adotta contro coloro il cui unico “crimine” è quello di sostenere apertamente e pacificamente riforme democratiche e rispetto dei diritti umani in Sudan. È inoltre anche un promemoria significativo del fatto che il regime sudanese, con a capo Omar al-Bashir (soggetto a un mandato di arresto della CPI per i crimini commessi in Darfur), non si sta impegnando seriamente nel dialogo per ricercare soluzioni pacifiche.
 
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Niccolò Figà-Talamanca è Segretario Generale di Non c’è Pace Senza Giustizia

Il ritiro delle accuse contro Kenyatta, segnale della necessità di una ristrutturazione delle indagini della CPI
 

Il 5 dicembre scorso, la Procuratrice della Corte Penale Internazionale ha ritirato le accuse per crimini contro l’umanità contro il presidente kenyano Uhuru Kenyatta, in relazione alle violenze post-elezioni nel periodo 2007-2008. Questa è una decisione che segue quella presa il 3 dicembre scorso dalla Camera d’Appello, nella quale si chiedeva alla Procura di ritirare le accuse oppure di dichiarare la propria intenzione a proseguire il processo.
 
La cosa migliore che può essere detta a proposito di oggi è che la Procuratrice, se non altro, non ha rimandato l’inevitabile – e che almeno il ritiro delle accuse non implica l’impossibilità di presentarne di nuove in futuro, nel caso in cui la Procura ottenga nuove prove per poterlo fare. Siamo ovviamente delusi, avendo lavorato da vicino fin dal 2008 con la Commissione Nazionale del Kenya per i Diritti Umani per riuscire a raccogliere prove, ma la nostra delusione è nulla se paragonata a quella delle vittime delle violenze.
 
Questa decisione era nell’aria da un po’, da quando la Procuratrice aveva annunciato, tempo fa, di non avere prove sufficienti per confermare al di là di ogni dubbio la colpevolezza di Kenyatta. Mentre rispettiamo – e condividiamo – le lamentele della Procura a proposito della non cooperazione delle autorità keniane, la mancanza di prove è l’esempio del fallimento della precedente strategia investigativa dell’Ufficio del Procuratore. Le prove sono là fuori, la domanda è perché l’Ufficio non le avesse prima della presentazione delle accuse.
 
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*  Alison Smith è Consigliere Legale e direttore del Programam di Giustizia Penale Internazionale di Non c’è Pace Senza Giustizia

 Eventi

13ma ASP della CPI: NPSG organizza un evento parallelo su “Attribuzione delle responsabilità per le violazioni dei diritti umani in Libia”
 

In occasione della 13ma sessione dell’Assemblea degli Stati Parte (ASP) della Corte Penale Internazionale (CPI) a New York, Non c’è Pace Senza Giustizia, in partnership con FIDH, ha tenuto un evento parallelo su “Attribuzione delle responsabilità per le violazioni dei diritti umani in Libia”, venerdì 12 dicembre 2014 presso la Sede Centrale delle Nazioni Unite, a New York. Il gruppo di relatori includeva Salam Ali Tekbali, avvocato, Consiglio Nazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale; Thomas Ebbs, Coordinatore dei programmi a Londra, Avvocati per la giustizia in Libya; Ahmed El Gasir, Ricercatore Senior, Human Rights Solidarity (HRS); Stéphanie David, rappresentante di FIDH presso le Nazioni Unite.
 
In Libia sono apparentemente in atto processi di giustizia di transizione, sia nazionali che internazionali, per affrontare le violazioni passate e attuali, che includono i procedimenti penali nazionali in corso, la legge che istituisce la Commissione d’Inchiesta e Riconcilazione e un caso dinanzi alla Corte Penale Internazionale. Ad oggi, comunque, nessuno di questi meccanismi è stato in grado di fornire alcuna significativa forma di giustizia o risarcimento per le vittime. Questo evento parallelo ha fornito un’opportunità per i leader della società civile libica per discutere se e come la CPI possa continuare a rappresentare il fulcro della transizione libica e quale ruolo possano giocare la Corte, le autorità libiche, gli altri governi e la società civile per assicurare che, nel contesto di un processo politico pacifico, l’aspettativa di impunità per le atrocità commesse non continui a prendere il posto della violenza, ma sia sostituita dall’aspettativa e dalla realizzazione dell’attribuzione delle responsabilità per le violazioni dei diritti umani e del risarcimento per le vittime.
 
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Giornata dei diritti umani: NPSG organizza un evento parallelo su “Attribuzione delle responsabilità in Siria: Opzioni e Preparativi” presso la 13ma ASP della CPI
 

Il 10 dicembre  si celebra ogni anno in tutto il mondo la Giornata dei diritti umani, per commemorare la proclamazione, 63 anni fa, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In questa occasione, Non c’è Pace Senza Giustizia ha tenuto un evento parallelo su “Attribuzione delle responsabilità in Siria: Opzioni e Preparativi”, nell’ambito della 13ma sessione dell’Assemblea degli Stati Parte (ASP) della Corte Penale Internazionale (CPI) a New York. Il gruppo di relatori includerà Christian Wenaweser,Rappresentante Permanente all’ONU del Liechtenstein; Radwan Ziadeh,del Centro di Damasco per gli Studi sui Diritti Umani; William Spencer, Fondatore e Direttore dell’Istituto per il Diritto Internazionale ed i Diritti Umani (IILHR).
 
Da marzo 2011 la situazione in Siria peggiora ogni giorno: le violazioni continuano a crescere in portata ed intensità, in particolare in seguito alle azioni sempre più violente del cosidetto “Califfato dello Stato Islamico”. La disastrosa situazione in cui si trovano i civili è esasperata da una cultura di quasi totale impunità. A quasi quattro anni dall’inizio delle ostilità, non è stato compiuto alcuno sforzo nazionale di alcun tipo e in alcuna forma per l’attribuzione delle responsabilità, mentre gli sforzi internazionali, tra cui i tentativi di riferire il caso alla Corte Penale Internazionale, sono stati bloccati apparentemente senza una facile soluzione. Proseguire con questi sforzi è essenziale per rispondere alle aspirazioni alla giustizia del popolo siriano e per fornire risarcimento alle vittime, mentre si riscontra un bisogno urgente di lavorare con i legittimi rappresentanti del popolo siriano per preparare l’attribuzione delle responsabilità a livello nazionale ed internazionale, come parte di una transizione politica e sociale dal conflitto a uno stato stabile, democratico e pluralistico.
 
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