Mutilazioni genitali femminili (FGM nella sigla in inglese), una violazione dei diritti umani che colpisce ogni anno oltre tre milioni di bambine, soprattutto in Africa. Una violenza atroce che continua a segnare la vita di milioni di donne ma che le Nazioni Unite oggi condanneranno con una storica risoluzione all’Assemblea Generale. Ci sono voluti anni per arrivare a questo traguardo. America Oggi intervista Niccoló Figà-Talamanca, il Segretario Generale di “No Peace Without Justice”, la Ong internazionale fondata quasi venti anni fa dall’allora commissario Europeo ai Diritti Umani Emma Bonino e che per anni si batte per far votare dall’Onu la risoluzione contro le FGM.

Finalmente si vota la risoluzione sulle FGM all’Assemblea generale. È la prima volta che avviene, un traguardo storico. All’appuntamento si è arrivati alla fine secondo i tempi previsti o dieci anni di lunghe lotte diplomatiche sono state dure da sopportare?

“La lotta contro questa grave violazione dei diritti umani è stata senz’altro molto lunga e dura. Quello che all’inizio ci sembrava una cosa scontata, ovvero che le MGF fosse da riconoscere come una violazione dei diritti umani fondamentali, in primo luogo quello dell’integrità personale, si è invece rivelato essere una campagna molto difficile, ma forse, proprio per questo, ancora piu’ importante. È chiaro che nessuno qui all’Onu, ma anche altro sostiene di essere a favore delle mutilazioni ma far passare il concetto che il problema non è soltanto una questione di salute pubblica o di igiene né solo di educazione culturale ma prima di tutto quello di schierare le Nazioni Unite in primo luogo, ma anche gli Stati e le istituzioni nella messa al bando delle mutilazioni è un passo essenziale e necessario per la loro eliminazione”.

La risoluzione all’Assemblea generale sarà co-sponsorizzata da due terzi dei Paesi membri dell’Onu e il voto adottato per consenso: ma è proprio così, non c’era nessun Paese rimasto a frenare la risolutezza di questa risoluzione?

“Ci sono stati senza dubbio negli anni precedenti Paesi che temevano che creando un nuovo ‘diritto’ che per noi è un diritto che già c’era (cioè non essere mutilate) avrebbero messo in difficoltà il proprio paese negli ambiti internazionali quando chiamati a rispondere della permanenza della pratica, ma le difficoltà sono state sopratutto di superare la barriera concettuale che vedeva le vittime delle mutilazioni come vittime di una disgrazia o malattia sostanzialmente inevitabile se non attraverso il convincimento interiore ed individuale di ognuna delle mutilatrici ma attraverso le leggi dello Stato che per quanto difficili da applicare in molti paesi comunque costituiscono una fonte di autorità normativa alternativa rispetto a quella della tradizione. Il paradosso è che le mutilazioni non avvengono perchè i genitori vogliono fare del male alle proprie figlie ma perché sono convinti che questo le offra un vantaggio sociale all’interno della loro comunità, per potersi sposare ‘meglio’ o per essere comunque accettate. Il cambio culturale passa necessariamente anche attraverso un cambio normativo dove la legge dello stato è norma che controbilancia le aspettative tradizionali”.

Perché proprio le tante ministre e le first lady dei Paesi africani che negli anni passati sono venute a New York con Emma Bonino a lottare per la risoluzione, non saranno qui presenti a festeggiarla? Certi governi africani sembrano tenere un “profilo basso”…

“I nostri amici e partner festeggiano ognuno nei propri Paesi. Emma Bonino stessa, assieme al ministro Terzi assisteranno alla diretta dal salone del partito radicale a Roma. Ma anche gli altri partner in Africa vogliono giustamente far valere la vittoria nelle loro capitali. È lì che la risoluzione avrà il suo effetto principale per mobilitare la volontà politica in ogni Paese contro le mutilazioni”.

Emma Bonino, nel suo articolo d’opinione apparso mercoledì sul New York Times-Herald Tribune, nello spiegare al mondo l’importanza di questa risoluzione, ha scritto che il testo della risoluzione deve impegnare affinché saranno prese “all necessary measures, including enacting and enforcing legislation to prohibit female genital mutilations and to protect women and girls from this form of violence, and to end impunity”. Queste le precise parole della risoluzione?

“Esatto, la risoluzione cambia il paradigma di azione. Il fatto che la risoluzione richiede legislazione efficace rafforza gli attivisti sul terreno dandogli un’ulteriore strumento internazionale per esigere azione dai propri governi e dalle proprie istituzioni. Anche a livello locale di villaggio e di famiglia la messa al bando universale e l’accento sui divieti nazionali rafforza la posizione di chi già vorrebbe sottrarsi o sottrarre le proprie figlie e questa violazione dei diritti umani”.

All’Assemblea Generale domani si vota anche, per la quarta volta, la risoluzione sulla moratoria per la pena di morte. Una battaglia di “Nessuno Tocchi Caino” e “Non c’è pace senza giustizia”. Quanti Paesi vi aspettate che quest’anno voteranno sì? E per gli Stati Uniti, non c’è proprio speranza?

“Al Terzo Comitato dell’assemblea generale Onu lo scorso mese già abbiamo raccolto 111 voti a favore che è storicamente il numero piu’ alto di Paesi favorevoli alla moratoria universale delle esecuzioni capitali. Speriamo di poterne aggiungere ancora uno o due paesi per il voto in plenaria. Negli Usa ci sono stati enormi progressi in termini di moratoria di fatto ma il voto favorevole alle Nazioni Unite direi che è da escludere per il futuro prossimo anche perché il Senato è storicamente allergico a ratificare impegni internazionali”.

Intanto Marco Pannella rischia la vita per far rispettare i diritti umani nelle carceri italiane. No Peace Without Justice anche in Italia?

“Ma questa battaglia continua. Come è noto i radicali non si arrendono e Marco Pannella ci da bene l’esempio. Che sia l’amnistia e le condizioni delle carceri in Italia, che sia la messa al bando delle MGF in Africa e nel mondo intero, che sia l’istituzione della Corte Penale Permanente o la moratoria sulle esecuzioni capitali le battaglie sui diritti civili e politici si combattono finché non si arriva al  traguardo”.