CPI: coinvolgere le vittime è essenziale affinché la giustizia conti

16 Nov, 2012 | Comunicati Stampa

Articolo redatto da Binta Mansaray e Alison Smith*, Slate Africa, 16 Novembre 2012

 

Gli Stati Parte della Corte Penale Internazionale (CPI) si riuniranno fino alla prossima settimana per l’undicesima sessione della loro Assemblea annuale, durante la quale discuteranno una serie di questioni relative alle funzioni non strettamente giudiziarie della Corte, compreso il suo bilancio. Il panorama sulla giustizia internazionale è molto cambiato dalla prima Assemblea, organizzata nel 2002: il numero di Stati parte della CPI è quasi raddoppiato –ad oggi sono 121; esiste un nuovo tribunale internazionale, il Tribunale Speciale per il Libano, che è stato istituito per far luce sui fatti relativi all’assassinio del Primo Ministro libanese Hariri; esiste una nuova Corte internazionale, la Corte  Speciale per la Sierra Leone, anch’essa creata dieci anni fa, che ha quasi concluso il suo lavoro; infine, sia il Generale Mladic che Karadzic, due degli attori chiave del conflitto nella ex-Jugoslavia, sono finalmente sotto processo.

Ciò che non è cambiato è la necessità per corti e tribunali internazionali di coinvolgere le persone colpite dai crimini su cui tali organi giuridici indagano e di cui perseguono i responsabili. In qualunque modo lo si voglia concepire – che sia dal punto di vista pratico o ideologico – il lavoro di sensibilizzazione è essenziale per garantire la diffusione di informazioni corrette tra le vittime e le comunità colpite, ed ottenere un loro riscontro. Obiettivo di tale lavoro è quello di impedire la diffusione di disinformazione e gestire le aspettative, in modo da evitare delusione e disillusione. Inoltre, scopo della sensibilizzazione non è quello di promuovere il sostegno, anche se spesso questo si produce come risultato della sensibilizzazione stessa, ma quello di mettere le persone in una posizione in cui dispongano di informazioni sufficienti per decidere autonomamente se vogliono o meno sostenere e partecipare ai lavori delle corti e dei tribunali internazionali. È questa, sostanzialmente, l’essenza della sensibilizzazione: coinvolgere le vittime e le popolazioni colpite, conferendo loro la possibilità di partecipare ai processi che sono stati, a conti fatti, istituiti per loro.

Ci sono molti modi per fare sensibilizzazione; l’elemento centrale per definire un’opera di “sensibilizzazione” o no, è la sua capacità o meno di innestare con le vittime e le comunità colpite un dialogo bi-direzionale e di promuovere, da un lato, la comprensione da parte delle vittime e delle comunità colpite dei prnicipi di giustizia internazionale e, dall’altro, la comprensione da parte dei tribunali internazionali dei bisogni e delle percezioni delle vittime e delle comunità colpite. Le attività di sensibilizzazione possono essere molto diverse una dall’altra: programmi radio,  seminari di formazione, associazioni informali e teatrali, come l’Accountability Now clubs in Sierra Leone. Altrettanto varia risulta la gamma di materiali volti alla sensibilizzazione: fumetti, giornali, riviste, manifesti, canzoni e immagini sono tutti strumenti in grado di ampliarne la diffusione. Pertanto la portata potenziale delle attività e dei materiali di sensibilizzazione è limitata solo dalla fantasia e da ciò che effettivamente si mette in atto per coinvolgere le persone nelle diverse comunità.

Tuttavia, l’opera di sensibilizzazione non è un gioco e non si tratta di creare una famiglia felice di cui ognuno entra a far parte. Per le corti e i tribunali internazionali si tratta di una necessità affinché possano operare in maniera efficace ed efficiente. La sensibilizzazione promuove la cooperazione tra testimoni e chi compie le indagini; le persone che comprendono di cosa si occupa una corte sono più propensi a cooperare con essa. Quando un intero villaggio capisce in cosa consista il lavoro di una corte ci sono , in genere, meno problemi di sicurezza associati a determinati individui che parlano con chi efefttua le indagini. La sensibilizzazione sostiene, inoltre, la cooperazione tra gli Stati e le corti e i tribunali internazionali: una popolazione ostile alla giustizia internazionale non appoggia il proprio Paese nell’arresto o trasferimento di indagati che debbano affrontare il processo, come abbiamo visto poco tempo fa in ex Jugoslavia. La sensibilizzazione è, inoltre, essenziale per garantire alle corti e ai tribunali internazionali di avere un impatto positivo sulla vita politica e sociale di un Paese e per lasciare un segno positivo riguardo alla pace, alla giustizia e allo Stato di diritto.

Una recente indagine sull’impatto e l’eredità lasciata dalla Corte Speciale per la Sierra Leone, in Sierra Leone e in Liberia, condotto dalla ONG internazionale Non c’è Pace Senza Giustizia, insieme ai partner della Liberia e della Sierra Leone, ha stabilito che la maggior parte delle persone in Sierra Leone e in Liberia ritengono che il Tribunale speciale ha contribuito al ripristino della pace e dello Stato di diritto, e ha posto rimedio, a livello giudiziario, ai crimini commessi durante la guerra. Questo è un risultato notevole, soprattutto se si considera lo scetticismo apertamente espresso in diverse occasioni quando la Corte venne istituita nel luglio del 2000, da chi la considerava un ostacolo per la pace, da chi dubitava che essa avrebbe potuto effettivamente giocare un ruolo nella ricostruzione post-bellica e che, quindi, si chiedeva se valesse davvero la pena servirsi di tale strumento.

I risultati del sondaggio mostrano senza dubbio che ne è valsa la pena. Essi mostrano anche che la ragione di tale impatto è duplice: in primo luogo, per il suo innovativo programma sensibilizzazione, a seguito del quale oltre il 90% delle persone in Sierra Leone e in Liberia aveva sentito parlare della Corte e il 65% era interessato ai suoi lavori; in secondo luogo, per la visione stabilita nella fase iniziale nel periodo di formazione del della Corte, grazie soprattutto al suo primo cancelliere, Robin Vincent, e al suo primo procuratore, David Crane, come un’istituzione che fosse sensibile ai bisogni e alle aspettative delle persone colpite dai crimini su cui stava indagando e compiendo processi. Gli sforzi intrapresi per rendere questa visione tangibile e reale dovrebbero essere particolarmente apprezzati in considerazione dei severi vincoli finanziari davanti a cui si trova la Corte, che si basa unicamente su contributi volontari. Anche le attività di sensibilizzazione sono state colpite da frequenti carenze, che sono state superate  solo grazie agli sforzi straordinari del personale e alla cooperazione della società civile della Sierra Leone. Tuttavia, le risorse dedicate alla sensibilizzazione sono state quelle investite meglio, in quanto proprio questo investimento ha garantito rilevanza e impatto a tutti gli altri risultati della Corte.

È auspicabile che nella riunione a L’Aia dei 121 Stati parte della CPI vengano prese in considerazione queste esperienze e buone prassi. La Corte Penale Internazionale ha fatto passi da gigante nel suo lavoro di sensibilizzazione, ma per entrare in contatto con le vittime e le comunità colpite nelle sue sette situazioni a livello locale  ha bisogno sia di un adeguato sostegno finanziario che di una adeguata guida politica. I 121 Stati che costituiscono il corpo di guida della Corte dovrebbero adottare la visione del cancelliere Vincent e del procuratore Crane e prendere decisioni a sostegno della sensibilizzazione che consentirà alla Corte di rispondere alle esigenze e alle aspettative di milioni di persone che sono alla ricerca di giustizia e risarcimento.

*Binta Mansaray è cancelliere del Tribunale speciale per la Sierra Leone e ex capo della sua unità di Sensibilizzazione, Alison Smith è Consigliere Legale di NPSG.

 

  • Per leggere l’articolo  come pubblicato su  Slate Afrique (Francese)