La Corte Penale Internazionale 20 anni dopo: è tempo di un nuovo patto

17 Lug, 2017 | Comunicati Stampa

Emma Bonino*, Roma, 17 luglio 2018

 

Nelle settimane di caldo soffocante trascorse a Roma nel 1998, durante gli intensi negoziati sullo Statuto di Roma per la creazione della Corte Penale Internazionale, Emma Bonino partecipava da un lato come rappresentante della Commissione europea, dall’altro simbolicamente accampata fuori la sede della FAO che ospitava i lavori, insieme ai militanti del Partito Radicale Transnazionale e degli altri attivisti che spingevano, come recitava un enorme striscione, “per risultati concreti”.

Il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Yogoslavia era appena stato istituito e Emma Bonino, fondatrice di Non c’è Pace senza Giustizia, insieme a Marco Pannella, Robert Badinter, Ben Ferencz, Cherif Bassiouni e molti altri, capirono che i tempi erano maturi per spostare gli obiettivi della campagna verso una giurisdizione penale internazionale permanente.

A vent’anni di distanza, è un buon momento per chiederci “Oggi, nel 2018, siamo dove vent’anni fa ci saremmo aspettati di essere?”.
Non è una domanda semplice e non ha una risposta semplice. In un certo senso, sì. Pensavamo che l’adozione dello Statuto di Roma avrebbe improvvisamente significato che tutti avevano la volontà politica di rispettare e applicare il diritto internazionale umanitario, i diritti umani e il diritto penale? No, non lo pensavamo.
Pensavamo che l’esistenza della Corte avrebbe messo fine ai crimini di guerra, ai crimini contro l’umanità e ai genocidi? Certamente no.
Pensavamo che quando la Corte avesse iniziato il suo lavoro sarebbe stata una navigazione tranquilla, con i colpevoli incriminati e le vittime risarcite? No, non pensavamo neanche questo.

Con tutte le sue promesse, sapevamo e tuttora sappiamo che la Corte di per sé non può porre fine ai crimini di guerra, contro l’umanità e ai genocidi. Tanto meno può essere la soluzione per questioni ancora più grandi, come la pace, la riconciliazione, lo stato di diritto e la ricostruzione. Quindi, in questo senso, siamo dove pensavamo di essere, con tutte queste sfide che continuano ad essere di fondamentale importanza e continuano a richiedere soluzioni innovative.

Per altri versi però non siamo dove pensavamo di arrivare. Nel 1998, non abbiamo mai pensato che lo Statuto di Roma potesse entrare in vigore così rapidamente. Dopo la firma dello Statuto, sapevamo che sarebbe stato difficile farlo entrare in vigore, ma siccome lo credevamo possibile, abbiamo proseguito la nostra campagna per raggiungere rapidamente la ratifica, sensibilizzando governi e opinione pubblica in tutto il mondo. Ci siamo riusciti, mai immaginando che questo duro e complesso lavoro avrebbe portato i suoi frutti in meno di 4 anni. E non avevamo mai pensato neppure di assistere alla “corsa” alla ratifica dell’aprile del 2002 – con dieci Stati che fecero a gara per essere tra i “primi 60 a ratificare” – che il 1 ° luglio 2002 consentì l’entrata in vigore dello Statuto.

Oggi, nel 2018, percepiamo un sentimento molto diverso. Uno Stato (il Burundi) si è ritirato dallo Statuto, un altro (le Filippine) lo farà all’inizio del prossimo anno, altri due (Sud Africa e Gambia) sono stati sul punto di farlo.

Siamo consapevoli che una certa disaffezione, oltre al diverso clima che si respira a livello internazionale, è dovuta anche ad un funzionamento non ottimale della Corte stessa.
D’altro canto, è necessario che la comunità internazionale compia uno sforzo maggiore per sostenere la Corte. Il Consiglio di sicurezza dovrebbe fare di più per affrontare la “non-cooperazione”, per esempio intervenendo quando i latitanti, secondo la Corte, trovano accoglienza negli Stati Parte.

L’Unione Europea e gli Stati membri devono fare di più: il contributo dell’UE, dei suoi Stati membri e dei suoi cittadini ai negoziati di Roma è stato straordinario. L’UE dovrebbe oggi assumere un ruolo più attivo e dare maggiore sostegno alla Corte, anche attraverso la creazione di un Rappresentante Speciale per il Diritto Internazionale Umanitario e la Giustizia Internazionale. L’UE, oltre a dire alle vittime di essere dalla loro parte, dovrebbe riprendere il proprio ruolo guida di vent’anni fa, avuto prima, durante e dopo l’adozione dello Statuto di Roma.

Come Non c’è Pace Senza Giustizia, insieme a tutti coloro che non si sono mai riposati sugli allori, siamo fermamente convinti dell’importanza e del valore dei principi fondamentali della Corte. Continuiamo a credere che non ci possa essere alcun rifugio sicuro per i criminali di guerra e che nessuno dovrebbe pensare di poter commettere impunemente crimini contro l’umanità.

* Sen. Emma Bonino,  fondatrice di Non c’è pace senza giustizia, già Ministro degli Affari Esteri e Commissaria Europea (già capo Delegazione UE presso la Conferenza Diplomatica di Roma sulla CPI)